La fantascienza è uno strumento sociologico molto potente. Leggete un romanzo della cosiddetta Età dell'Oro, più o meno quel periodo che va dal 1938 al 1950 (ma anche la decade successiva, i mitici anni Sessanta sono stai memorabili), e troverete tanti romanzi che sono intrisi di una potente visione sul futuro, ma che parlano anche della realtà sociale, politica ed economica del periodo in cui sono stati scritti e pubblicati.

Facciamo qualche esempio. Prendiamo I mercanti dello spazio (The Space Merchants), il romanzo di fantascienza distopica scritto da Frederik Pohl e Cyril M. Kornbluth nel 1952.

Non stiamo a raccontare la trama, ma quello che ci interessa è che il romanzo racconta di un futuro in cui l'umanità ha dato fondo a tutte le riserve naturali ed è ormai in preda a un consumismo di massa senza eguali nella storia dell'uomo, il tutto dovuto anche al lavoro efficace delle agenzie pubblicitarie mondiali, che manipolano i cittadini, spingendoli a consumare i prodotti delle aziende. Il tutto avviene anche attraverso alcaloidi inseriti nei prodotti alimentari oppure facendo largo uso di messaggi subliminali, ricerche di mercato e ipnosi. In questo scenario, non solo la democrazia esiste solo sulla carta, ma si misura solo attraverso la ricchezza. Il protagonista è Mitchell “Mitch” Courtenay, un pubblicitario che viene messo a capo di un progetto per favorire, attraverso la pubblicità, la colonizzazione di Venere e risolvere così il problema della sovrappopolazione.

Non c'è dubbio che la storia inventata da Pohl e Kornbluth è una grande metafora dell'America di quegli anni, nel pieno boom economico, in cui ogni americano poteva avere la sua casetta, i suoi belli elettrodomestici, la sua automobile e godere di un salario che permetteva un consumo abbastanza sostenuto. In una parola: consumismo.

Un esempio, ma potremmo farne tanti. Resta il fatto che la science fiction è una lente per osservare la realtà, uno strumento sociologico straordinario, e questo non riguarda solo la letteratura, ma anche il cinema, il fumetto e, più recentemente, la televisione.

Di questo ruolo della fantascienza ne ha parlato anche il giovane storico israeliano Yuval Noah Harari, autore di libri bestseller quali Da animali a dèi (2014) e Homo Deus (2017), tradotti in molti paesi.

Nel suo più recente lavoro, dal titolo 21 Lezioni Per Il XXI Secolo (Bompiani), Harari dedica un capitolo proprio alla fantascienza, scrivendo tra le altre cose: 

Agli inizi del XXI secolo è probabile che il genere artistico più importante sia la fantascienza. Pochi leggono gli articoli più aggiornati sull’apprendimento automatico e sull’ingegneria genetica, mentre film come Matrix e Lei e serie televisive come Westworld e Black Mirror sono formidabili strumenti per la divulgazione della conoscenza dei più rilevanti sviluppi tecnologici, sociali ed economici del nostro tempo. Questo significa anche che la fantascienza dovrebbe essere più consapevole della sua responsabilità di informazione sociale quando tratta problemi scientifici, per evitare di condizionare con idee errate i pensieri e l’immaginazione della gente o di concentrare l’attenzione di questa su problemi sbagliati.

Un ruolo di informazione sociale, scrive Harari, soprattutto nel campo della divulgazione della conoscenza e, in particolare, in quella scientifica. La science fiction, dunque, socializzerebbe l'uomo moderno alle nuove tecnologie, ma anche alle loro possibili derive. Le serie televisive Westworld e Black Mirror sono un grande spettacolo per la mente, un divertimento ma anche una riflessione sul possibile ruolo sociale, politico ed economico di tecnologie come l'Intelligenza Artificiale, le nanotecnologie, le biotecnologie, e così via.

I romanzi e i film di ieri o le serie TV di oggi, sono degli esperimenti sociali, delle simulazioni sui possibili scenari del nostro futuro, spesso incubi, ma talvolta anche sogni, in ogni caso sono lì per ricordarci i pericoli, ma anche le possibilità che abbiamo, che sono alla nostra portata.

La fantascienza, allora, è sociologia, è una metodologia per studiare la realtà e la società postmoderna, per testarla, per capire fino in fondo chi siamo, cosa vogliamo e dove andremo.

E non è poco.