Nella vita di uno scrittore, una temporanea immobilità fisica può avere conseguenze incalcolabili. Molti lettori, ancora oggi, “ringraziano” la caviglia rotta di Margaret Mitchell che, costretta a letto, iniziò il suo capolavoro Via col vento; se non fosse poco delicato, augureremmo agli appassionati di fantascienza post-apocalittica di celebrare il lieve incidente d’auto (per fortuna, senza gravi conseguenze) che capitò a Walter M. Miller jr. nel 1950: allettato, realizzò proprio durante la convalescenza la sua prima storia, pubblicata su American Mercury con il titolo MacDoughal’s Wife. Secondo altre fonti, aveva già scritto Secret of the Death Dome, che riuscì a pubblicare solo nel 1951; ma poco importa: è il punto di svolta di un autore complesso, non indagato abbastanza, che fu soldato, ferroviere, padre di famiglia e persino eremita.

La sua opera più nota è però Un cantico per Leibowitz, un capolavoro del genere post-apocalittico, ripresentato ora in Urania Collezione curata da Giuseppe Lippi (numero 84, Mondadori Editore). Secondo Paul Brians, professore emerito alla Washington State University, è stato il romanzo di fantascienza, sul tema del pericolo nucleare, di maggior successo almeno fino al Riddley Walker di Russell Hoban, pubblicato nel 1980.  

Nato il 23 gennaio 1923 in Florida, Walter Michael Miller jr. aveva 19 anni quando si arruolò nell’aviazione, volontario, un mese dopo l’attacco di Pearl Harbor. A bordo di un B-25, partecipò a 53 missioni di bombardamento nei Balcani e in Italia, prima come operatore radio e poi come mitragliere. Prese parte alla seconda battaglia di Montecassino, nel corso della quale il tragico errore degli alleati causò vittime civili e portò alla distruzione della nota abbazia benedettina risalente al V secolo dopo Cristo. Numerosi critici e biografi considerano quest’esperienza – certamente traumatica - il perno centrale della sua intera produzione (e in particolar modo dell’opera più rappresentativa, Un Cantico per Leibowitz); ma Walter Miller non è, come si vuole far credere, un cattolico conservatore ossessionato dal senso di colpa. La sua vita non è un operazione matematica: la somma dei principali eventi biografici non regala mai un ritratto completo, e, tantomeno, dignitoso.

La produzione letteraria della sua generazione è segnata dallo sforzo di metabolizzare il vero volto del “secolo breve”. Dobbiamo mettere, quindi, in prospettiva gli eventi e ricordare che i suoi coetanei conobbero gli orrori del secondo conflitto mondiale: Richard Matheson si arruolò in fanteria e fu ferito in combattimento; Robert Heinlein si diplomò ad Annapolis prima della guerra e raggiunse il grado di Tenente; congedato per via della tubercolosi nel 1934, servì come ingegnere aereonautico fino al 1944, assieme ad Asimov e Sprague de Camp; Russell Hoban, in qualità di operatore radio prestò servizio in Italia a soli 19 anni, mentre Frank Herbert entrò in marina e fu dimesso per problemi di salute, sei mesi dopo il suo primo incarico come fotografo a bordo della USS Seabees; James Blish fu sul fronte dal 1942 al 1944 come tecnico medico e Arthur C. Clarke fu Ufficiale di volo nel 1943, nella Royal Air Force. Come tutti loro, Miller tornò a vestire abiti civili. Si sposò nel 1947 (ebbe poi quattro figli) e lo stesso anno iniziò l’università di ingegneria di Austin, in Texas (ma non la completò). Si convertì al cristianesimo, anche se, per sua stessa ammissione, non fu mai devotissimo.