“Il fascino ignoto di Catani”, di Giorgio Saponaro

Pubblicato il 5 Gennaio 2015 in Tempo presente | 2 Commenti »

Stanotte (tra il 5 e il 6 gennaio 2015), rovistando nella memoria di un mio vecchio computer, ho ritrovato un file particolare, risalente al 2008: una recensione della mia corposa antologia personale di racconti L’essenza del futuro (655 pagine), edita nel 2008 dalla Perseo Libri (ora Elara). La recensione, intitolata Il fascino ignoto di Catani era di Giorgio Saponaro, noto scrittore barese, che mai aveva prima letto fantascienza e mai aveva voluta leggerla; per una serie di circostanze il testo era rimasto abbandonato e inedito. Ho pensato di portarlo alla luce ora, anche per motivi di cui scrivo più avanti, che non riguardano solo la mia antologia, ma qualcosa di più. Riporto anzitutto notizie sull’autore della recensione.

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Giorgio Saponaro, nato a Bari negli anni ‘30, è il più noto e importante scrittore pugliese vivente. La sua narrativa, ispirata a quella di Alberto Moravia, è concentrata sull’uomo e sulla vita quotidiana, della quale sa cogliere i dettagli, le meraviglie, le stranezze, le casualità, le contraddizioni, il dolore, l’amore, sempre con un sottofondo di rassegnazione talora leggermente ironica o beffarda che denuncia una visione molto scettica dell’esistenza. La sua sterminata bibliografia comprende più di 100 romanzi e oltre 1000 racconti, nonché innumerevoli pagine di critica letteraria, artistica e recensioni, editi solitamente sul quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno” e su riviste letterarie. Vari anni fa, un suo racconto fu incluso in un’antologia dei più grandi autori italiani del ‘900, nella pregiata collana mondadoriana “I Meridiani”. (Segue la recensione).

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“Il fascino ignoto di Catani”

A dir poco, l’ignoto terrorizza l’umana stirpe, perché non si sa cosa sia, cosa nasconde. E ne L’essenza del futuro di Vittorio Catani l’ignoto padroneggia. Un libro, questo, che nelle sue 655 pagine racchiude la storia umana dello scrittore. Uno scrittore di fantascienza, oggi in Italia – a detta del prefatore Ugo Malaguti – tra i massimi del “genere”, un genere in cui l’ignoto – ripeto – fa da padrone assoluto. Ho sfogliato il mastodontico volume e allora, come in un cielo corrucciato, si è spalancato l’ignoto ed è apparso il sole della conoscenza, attraverso la scrittura di questo straordinario autore che mi ha sedotto con le sue parole pregne di significato. Ho cominciato a capire, poi ho compreso, infine la luce del suo dire mi ha illuminato. Finalmente ho capito cosa racchiude, cosa rappresenta, cosa vuol significare la “fantascienza”, che finora – a me sconosciuta – mi annoiava, o meglio non m’interessava. Ho capito così che io sono rimasto indietro mentre il mondo è andato, va avanti, a grandi inarrestabili passi. Certamente un glossario sulle parole – tantissime – per me nuove, mi avrebbe aiutato. Ma queste stesse parole – termini specifici – mi hanno aiutato a comprendere che proprio nel mistero dell’ignoto si solidifica la grandezza della fantascienza. Certamente ciò che più mi ha affascinato nella mia lettura disorganica ma – forse proprio per questo – seduttiva, è che il fondale che fa da contenitore alle storie stesse è la Puglia, con scorci questa volta sì, riconoscibilissimi. Bari, Brindisi, la terra in cui Catani vive e in cui il lettore – almeno io – mi ritrovo. Luoghi ben determinati nella loro struttura naturale: il mare, la campagna, le città, i paesi e tutto quanto, danno una determinatezza alle storie qui raccontate magistralmente.

Forse il segreto della narrativa di Vittorio Catani è proprio in questo: dove si riconosce il riconoscibile e si ignora totalmente l’inconoscibile, il segreto, appunto l’ignoto. E cosa è più sconosciuto della vita stessa di noi tutti. A questo punto devo per forza di cose usare la parola che con immediatezza m’è venuta leggendo queste storie: Vittorio Catani è geniale. Da questo, il suo essere di poche parole, e amante più della musica che di altre arti. La musica che lo sostiene, che dà il “la” alla sua produzione narrativa. Per esempio il sesso – materia a me molto congeniale – che deve essere allegro, spiritoso, assolutamente non drammatico, e di cui nel racconto I Penetranti l’autore presenta un’esatta descrizione fisica, metafisica, reale: cioè sognata, immaginata da ogni uomo che vive su questa terra. Nulla di pornografico, assolutamente, poiché la presenza dell’arte dà giusta connotazione al tutto. E’ come se Catani si specchiasse nella vita sua e degli altri – tutti gli altri – che gli sono intorno. Prende dalla vita e dà alla fantascienza, che lo possiede, facendolo viaggiare lontano con il suo mondo verofalso, onirico, fantasticato, ma che diventa ogni giorno più vicino. La partitura del suo narrare si fa così modello della musica ascoltata, dove il suo personale languore, il timore, la sofferenza, diventano proprietà esclusiva della sua naturale scrittura di autore di fantascienza. Oggi probabilmente il più bravo di tutti.

Bari, 5 marzo 2008

Giorgio Saponaro

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Qui termina il testo di Giorgio, che si presta a qualche commento. Anzitutto, vi riconosco un entusiasmo che a volte diventa enfasi, ma tant’è: questo è lo scrittore. Da notare che Saponaro non ha usato neanche una parola specifica della e per la fantascienza (non poteva ovviamente usarla, essendosi egli stesso dichiarato ”ignorante” nel campo, anche del gergo: “un glossario mi avrebbe aiutato”), né ha fatto paragoni con altri autori; non ha discusso sui temi, non ha dato suggerimenti tecnici, e della quarantina di storie contenute nel volume ha voluto richiamarne una sola, I Penetranti. Ma non per chiedermi - ad esempio - come è plausibile che sia viva una poltiglia liquida scintillante. O quale sia il significato della parola ”x”. Ha invece - da scrittore mainstream - colto in modo più ampio il senso della narrazione, sottolineando che “nel mistero dell’ignoto” se ne “solidifica la grandezza” e “cosa è più sconosciuto della vita stessa di noi tutti”. Ha riconosciuto valori puramente letterari in questa narrativa, le metafore che si celano nelle immagini, nelle situazioni descritte (roba che talora non coglie lo stesso autore). “Finalmente ho capito cosa racchiude” confida, “cosa rappresenta, cosa vuol significare la fantascienza”: non poteva essere più chiaro. Si può condividere o non questa sua interpretazione della science fiction, ma nulla cambia: vi ha trovato elementi che la valorizzano, non solo: ha fatto un notevole passo indietro nelle sue convinzioni, un  autentico mea culpa pubblico, ad alta voce come pochi farebbero rammaricandosi di aver sempre sottovalutato il genere. Ha inoltre apprezzato lo scenario, lo sfondo di quasi tutte le storie: la Puglia (senza saperlo ha risposto a un vecchia querelle, cioè se si possa fare sf non solo con alieni e astronavi ma anche con la campagna, i paesi, mandorli e ulivi, rose e fiori). Non so se poi Saponaro abbia continuato a leggere fantascienza: onestamente penso di no, è troppo tardi per una persona della sua età ricominciare da capo.

Da parte mia sono ovviamente lieto per tutto questo, ma ciò che più mi soddisfa è aver constatato che è possibile fare apprezzare la benedetta fantascienza, magari anche ai solitamente reticenti per principio o vanagloriosi scrittori mainstream: per fare questo è sufficiente far leggere il libro adatto (ce ne sono molti). Magari questi lettori continueranno a trascurare la sf, ma la loro opinione negativa sarà messa in crisi. E’ un enorme passo avanti. Che prima o poi potrà portare al secondo.

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Musica da tutto l’universo

Pubblicato il 18 Marzo 2014 in Tempo presente | Nessun commento »

“L’Eccezione-Teatropuglia” di Rino Bizzarro (via Indipendenza, 75 Bari) 

Sabato 22 alle ore 18,30, Vittorio Catani tratterà il tema “Musica e fantascienza”: un binomio insolito, ma che ha prodotto capolavori. Esiste una narrativa di racconti e romanzi di fantascienza che narrano di poteri e significati nascosti della musica, o di musicisti straordinari, ed esiste una musica che accompagna eventi eccezionali del futuro: colonne musicali di famosi film di fantascienza, di serie televisive; canzoni di David Bowie, dei Rolling Stones, degli Yes, delle Orme e di tantissimi altri che operarono nell’ambito della musica rock negli anni ’60/70; e balletti dell’Ottocento, opere liriche, brani sinfonici e pianistici, musica elettronica, musica di compositori futuristi. Canzoni fantascientifiche italiane (dai Gufi fino a…  Peppino di Capri!), musiche prodotte da macchine. Esiste la pitagorica Musica delle Sfere? E poi suoni generati dal moto dei pianeti, addirittura dal Big Bang… Una rassegna che offre l’ascolto di alcuni esempi, tratti da un settore in gran parte sconosciuto ma vastissimo e ricco di sorprese.

Replay di un amore

Pubblicato il 14 Gennaio 2014 in Tempo presente | 2 Commenti »

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Oggi 14 gennaio 2014 per me è un giorno bellissimo: è in vendita “REPLAY DI UN AMORE”, il mio primo e-book, nella collana Bus Stop (ed. Delos Digital) curata da Sivio Sosio. Una storia di fanta-amore, pagg.53, € 1,99 - Per maggiori dettagli vedi qui, su Fantascienza.com

Mezzo secolo di fantascienza…

Pubblicato il 3 Settembre 2013 in Tempo presente | 1 Commento »

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[L'intero testo che segue è la "quarta" di copertina]  Con questa tesi di laurea (triennale, Scienza dell’Educazione e della Formazione) Daniela Roberto traccia un ampio e dettagliato panorama della narrativa di fantascienza di Vittorio Catani, stimato tra i maggiori esponenti italiani di questo genere letterario. L’autrice presenta scrittore e argomenti in una progressione di pagine quasi narrative, ricche di idee, eventi, tematiche, raffronti, titoli, presentando un effervescente universo di creatività speculativa tipico della fantascienza, spesso poco o mal conosciuto. [Volume di 83 pagine, con 57 illustrazioni a colori e in b/n].

Daniela Roberto è nata nel 1982 a Noci (Bari), dove risiede, lavora, e studia per una seconda laurea. Questa tesi è nata un po’ per caso, su suggerimento del docente, e ha inattesamente aperto all’autrice la porta su un mondo sconosciuto nel quale è entrata con crescente apprezzamento ed entusiasmo.

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Guerra è pace

Pubblicato il 25 Giugno 2013 in Tempo presente | Nessun commento »

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La guerra è l’igiene del mondo. La guerra è pace, scriveva Orwell. Si vis pacem para bellum: se vuoi la pace, prepara la guerra. La guerra va incontro a tutte le esigenze, anche quelle pacifiche. La guerra è il sistema più sbrigativo per trasmettere una cultura. Dio, com’è bella la guerra con i suoi canti e i suoi lunghi ozi. L’uomo è guerra. Il XXI secolo lo è. Come non capitolare al fascino apocalittico della guerra, specie oggi, nel 2035? 

Abbiamo armi che sono gioielli meravigliosi capaci di distruggere interi pianeti, interi sistemi solari, forse anche intere galassie, magari l’intero universo. Abbiamo uomini geneticamente potenziati, capaci di sopravvivere ai colpi più forti, ai proiettili più penetranti, ai gas più velenosi, alle temperature più alte, alle radiazioni più letali, agli squartamenti più feroci.

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Il Maggio 2035 di nononne

Pubblicato il 21 Maggio 2013 in Tempo presente | Comments Off

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Mio nonno Ferruccio Catinella è del 1930 e siccome oggi siamo nel 2035 lui tiene la bellezza di centocinque anni con la buona salute, e si incazza che noi nipoti lo chiamiamo “nononne” perché dice di sentirsi un ragazzino come me, ho quasi un decimo della sua età!(1)
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E se lui crede di essere giovane, si capisce: siccome aveva avuto le cateratte e un distacco della retina, nel 2021 gli cambiarono tutt’e due gli occhi naturali con due artificiali, che ci vede pure di notte meglio del mio gatto Sbirulò. Non basta: ha detto che se gli va una mosca in un occhio lui non sente niente, anzi la mosca muore fulminata. Poi gli hanno cambiato una gamba vera con una elettronica per via di una paralisi, le due mani perché le aveva infilate nell’ultraforno di casa senza accorgersi che era acceso a 2000 gradi, il fegato perché gli è venuta l’epatite D per le cozze crude, il cuore perché da un momento all’altro gli scoppiava (per colpa nostra, dice lui), un polmone perché l’aveva arrostito con un secolo di Marlboro, e altre frattaglie. Insomma lui dice che ora è proprio “un uomo di ferro” e non per niente si chiama Ferruccio. Io a scuola l’avevo saputo, che ci sono persone metà carne e metà metallo o plastica dette “cyborg”, ma questa parola mi ricordava i vecchi film di Schwarzenhegger, invece il cyborg io ce lo tenevo già in casa: nononne!
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(1) Nel dialetto barese “nononne” è il nonno di età molto avanzata, più o meno dai 90 anni in poi..-

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Il Gruppo dei Cinque

Pubblicato il 1 Maggio 2013 in Tempo presente | 1 Commento »

                                                                                                                                                                Sabato 4 maggio, alle ore 18,30 presso “Teatro Puglia-L’Eccezione” di Rino Bizzarro, via Indipendenza 75, Bari, per il ciclo Orizzonti Musicali, il sottoscritto presenta “Il Gruppo dei Cinque”. 

L’esotismo delle fiabe musicali di Nikolaj Rimskij-Korsakov e di Milij Balakirev, i delicati ed evocativi temi di Alexander Borodin e di Cezar Kjui, la sorprendente modernità di Modest Musorgskij, restano tutt’oggi tra i massimi tesori dell’arte musicale.

La leggenda della invisibile città di Kitezh e della fanciulla Fevronia, Sheherazade, La Grande Pasqua Russa, Nelle steppe dell’Asia Centrale, Il principe Igor, Danze polovesiane, Boris Godunov, Quadri d’una esposizione, Islamey, La fiaba dello Zar Saltan”: sono i titoli tra i più famosi delle composizioni (orchestrali, da camera, teatrali) che in Russia, nella seconda metà dell’Ottocento, accompagnarono la straordinaria esplosione creativa del “Gruppo”.

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Contro/luce

Pubblicato il 14 Aprile 2013 in Accadde... domani | 6 Commenti »

Appena sveglio, Ludovico ebbe un pensiero: un mercoledì che comincia come una domenica ha  qualcosa che non va… C’era un silenzio assoluto, intorno. Si riaddormentò. Credette di percepire il trillo lontano della sveglia, ma forse se l’era sognato. La sera prima avevano fatto bisboccia in casa di Armando, e aveva la testa pesante. Dalla finestra la luce del giorno pareva ancora assente, perciò si rigirò dall’altra parte. Dopo un tempo indeterminato sobbalzò, convinto che qualcosa non funzionasse. Il silenzio era totale, irreale. Nel buio andò alla finestra, a tastoni aprì le ante. Incredulo, spalancò gli infissi. Fu allora che in lui si insinuò l’incubo. L’esterno era un canyon nero, imperscrutabile, dal quale salì un urlo lontano, più che altro un ululato. Dal cielo, dai palazzi, dal mondo non traspariva il minimo barlume. Ludovico indietreggiò incerto, strisciando lungo mobili e  pareti. Più tardi non ricordò bene quali fossero stati i suoi pensieri in quei momenti. Forse avrebbe dovuto sentirsi terrorizzato, come un uomo di Neanderthal convinto che sul pianeta fosse calato un oscuro sortilegio mortale. Raggiunse l’interruttore, ma la lampada centrale non si accese. Un black-out generale, ma che ora era? Si rammaricò di non avere torce elettriche o candele, ma per fortuna  la sua memoria della disposizione degli oggetti in casa era sempre stata più che buona. Esitante, tendendo le braccia, raggiunse la cucina e recuperò i fiammiferi. Stentò ad accenderne uno, che comunque si limitò a emettere uno sfrigolio. Credette di aver notato un lieve bagliore… o l’aveva immaginato? Provò con un secondo, avvicinandolo agli occhi. Forse per un istante si manifestò una specie di ectoplasma chiaro, piccolo come un bottone di camicia. Trascorse il resto del suo tempo (mezz’ora? l’intera mattinata?) a cercare di capire. Telefono muto. Palazzo silente, come incantato. Dalla radiolina giunse un rumore di fondo simile a un inquietante sospiro, o a una risacca. Smontò il vetro dell’orologio d’argento sulla scrivania e tastò le lancette: segnavano le undici e mezzo… e lui girava in tondo da ore. Era un antico orologio a molla, e si affrettò a ricaricarlo. Finirà, pensò. Deve finire, prima o poi… Una cosa simile non aveva senso, era impossibile. Un nuvolone, ecco. O l’inquinamento. Un fenomeno meteorologico, un diavolo di motivo qualunque. Non sarebbe potuto durare un minuto di più. Dopo, gli fu difficile rievocare quei primi momenti senza ripiombare in un’angoscia primordiale. Il frigo era disattivo: se la faccenda durava, si sarebbe dovuto preoccupare di consumare il cibo deteriorabile, prima che andasse a male. Ma come cuocerlo? Se la corrente non tornava avrebbe dovuto buttare via tutto. Ma no, che stava immaginando. Presto sarebbe finita. Chissà  Licia a casa sua cosa faceva,  cosa  pensava. Era un evento limitato al quartiere, alla città? C’era da perdere la ragione. Più tardi – toccò le lancette: sei e dieci… di sera, mattina? – decise di uscire sul pianerottolo. Ricordò i suoi terrori da piccolo, quando salendo a piedi si spegneva all’improvviso la luce nella tromba delle scale. Ancorandosi alla ringhiera e spalancando inutilmente gli occhi raggiunse il piano inferiore. Provò il campanello sapendo che sarebbe rimasto muto. Pestò alla porta con le nocche. Non rispose nessuno. Anche dal coinquilino accanto non giunsero segni di vita. Da giù salì un vociare sconnesso, allora  Ludovico riprese a scendere lentamente. Infine fu nell’androne. Le voci parevano essersi dissolte. Fu investito dall’alito freddo della strada che gli portava fruscii, lamenti, un pianto isterico, un parlottare lontano. Decise di avventurarsi e si affacciò all’esterno, cominciando a muoversi e aderendo alla muratura. Qualcosa di piccolo e leggero gli sfrecciò fra le gambe. Ora ascoltava chiaramente, per via erano scese altre persone che evidentemente avevano avuto il suo stesso impulso. Improvvisamente urtò contro un’anta aperta, e la cosa lo stupì: non ricordava portoni da quel lato del marciapiede… O ce n’erano e lui non li aveva mai notati? Doveva assolutamente conservare una traccia mnemonica del percorso. Poteva contare le porte… Qualcuno gli sbatté contro. “Chi è lei?” urlò una voce in falsetto, esagitata, di donna; non doveva essere giovanissima. “La scongiuro mi aiuti mi aiuti!”. La donna gli si aggrappò addosso con le unghie, isterica. “Ma cosa succede, in nome del Signore… Mi sono persa… Via  Raimondi 13, lei sa dov’è… mi aiuti, mi aiuti…”.  Ludovico fu costretto suo malgrado a sgusciare via. “Mi lasci, sono in difficoltà anch’io!”.  Più avanti doveva esserci un capannello di gente che parlottava, una sorta di borborigmo della notte. Nello scalpiccio, corpi lo intralciarono, ma rabbiosamente tentò di non perdere il contatto con la parete. Qualcosa lo scaraventò verso la strada; perse l’equilibrio e cadde affondando su una cosa molliccia bagnata, inodora, battendo con violenza il capo su uno sperone. Stordito, tastò e si accorse che aveva urtato contro un fioriera situata a pochi metri da casa. Per fortuna aveva recuperato il senso della direzione. Faceva freddo. Raggiunse con estrema prudenza le voci mormoranti, ma non ne riconobbe nessuna. Gente che come lui cercava di capire, di mantenere l’orientamento. E una parvenza di civismo. Ascoltò siegazioni, invettive, maledizioni. Evidentemente anche altri immaginavano una nuvola d’uno smog micidiale, ancora sconosciuto; ma a questa supposizione si opponeva il fatto che l’aria, al respiro, non appariva più pesante o fetida del solito. Qualcuno che sembrava maggiormente informato s’intromise a dire che doveva trattarsi di un fenomeno spaziale: la Terra era entrata all’improvviso in una nube di polveri cosmiche: ce n’erano in giro, eccome! Già: ma dov’era la polvere, o forse alla luce sarebbe stata evidente? E nessun astronomo se n’era accorto prima? Forse era qualcosa di impalpabile e nel frattempo erano diventati tutti neri come carbonai. Un altro, che disse di chiamarsi Orsini, ipotizzò una nuova arma segreta. “Lo sapevamo tutti che questa guerra fratricida, a due passi dalla nostra nazione, poteva degenerare da un istante all’altro! Quel criminale pazzo del presidente Watzlach  l’aveva minacciato, un’arma segreta…”. Orsini continuò, le sue parole vaneggianti si intonavano sinistramente al contesto. Un meccanismo ignoto capace, semplicemente, di lanciare in precise direzioni un’onda elettromagnetica di contrasto all’intero spettro luminoso! In realtà la luce non era scomparsa: finché giungeva questa contro-radiazione, argomentava Orsini, la luce risultava “annullata”. Possibile? Allora era un fenomeno locale? Come fare per saperlo, se anche radio e tv erano tacitate.  Doveva essere davvero estesa la contro-radiazione, se interessava una gamma così vasta dello spettro elettromagnetico. Pn quei giorni Ludovico comprese che avrebbe dovuto duramente attrezzarsi e arrangiarsi. Pensare a Licia era prematuro; non sarebbe mai riuscito a giungere fino a casa della ragazza. Forse dopo, con maggior esperienza di movimenti. Ma ineludibile era la questione del cibo. Bisognava affrettarsi: prima che altri lo precedessero. E si imponessero. Quel giorno (”giorno”: ridicolo! Quanti ne erano trascorsi nel buio assoluto… cinque… dieci?) prese una decisione. Uscì da casa. Le sue riserve alimentari erano agli sgoccioli. Scendendo per la scalinata abissale credette di cogliere luci colorate: ma sapeva che non doveva lasciarsi burlare dai suoi occhi, dal suo cervello. Spesso, ora, gli si creavano sulla retina memorie di colori. Dolorose. Per strada, a un cantone fu assalito da una donna ansimante che lo tastò e poi cercò di abbarbicarglisi e baciarlo con violenza. Fu costretto a strapparsela di dosso e spintonarla. Il vecchio - ricordava Ludovico - aveva stazionato all’incrocio per anni, a due isolati da casa. Gente, intorno. Si ascoltava la disperazione, il pianto, l’ombra insondabile della follia. Quando finalmente riuscì ad arrivarci, si chinò verso l’angolo tra marciapiede e muratura, a toccare. Sotto le dita trovò la parete ruvida; accanto, addossato alla parete, il supporto metallico di un’insegna pubblicitaria, una volta luminosa. Tirò un sospiro. “Sei sempre tu?” chiese Ludovico. Lontano si udì chiaramente un rimbombo sordo che fece tremare l’asfalto. “Sono io” rispose il vecchio. Ma dalla voce, Ludovico capì che c’era già un cambiamento. “Bene” disse Ludovico “d’ora in avanti noi due possiamo aiutarci. Tu sei anche zoppo e malandato. E scommetto che hai fame. Tanta fame”. “Io sono come lui, ma forte e robusto” s’intromise una voce aggressiva, accanto. “Che ci fai con una spazzatura come quello? Verrò io con te”. Ludovico restò interdetto. Rifletté velocemente, poi disse: “No. Tu non mi piaci”. All’improvviso si sentì investire di peso da un corpo massiccio. L’estraneo prese a rintronarlo con pugni violenti, caddero entrambi sull’asfalto, rotolando. Dovevano aver urtato altra gente, ci furono imprecazioni  isteriche e un tonfo. “Lasciami” urlò Ludovico “puoi unirti a qualcun altro!” Ma forse non era più tempo di ragionamenti. Mentre rispondeva al pestaggio raccogliendo tutte le forze dei suoi buoni muscoli, gli balenò il discorso del Primo Ministro, in televisione, solo qualche giorno prima: “La nostra ragione non può tollerare che alle porte di casa si perpetrino atrocità e orrori come questi, che credevamo scomparsi con i lager…” Sperò che Orsini avesse torto marcio. Si riscosse che l’uomo giaceva inerte sull’asfalto. Si accorse che addosso aveva un liquido che gl’invischiò le dita. Si risollevò. “Ci sei?” disse rivogendosi al vecchio. “Andiamo. Sai qual è il negozio più vicino”. Si mossero. “Certo che lo so” sghignazzò il vecchio tossendo “ma finora ho dovuto tenermene a distanza. Ascolta bene, giovanotto” aggiunse in un tono improvvisamente duro “d’ora in poi mi devi tenere la mano”. Ludovico si sentì afferrare al polso con una stretta, trascinato con decisione verso la strada dal vecchio. Aveva fatto bene, pensò Ludovico, a rifiutare l’aiuto del più forte? Ora un cieco diventava una delle merci più ambite, e da costui – storpio e malandato com’era – non avrebbe dovuto temere sgambetti: erano diventati di colpo reciprocamente indispensabili, loro due. O no? Nel buio arrivavano nuove voci concitate, urla, rumori violenti, lo sbatacchiare metallico di una saracinesca. “Il supermercato…” esclamò il vecchio. “Accidenti, qualcuno ci ha preceduto!” Ebbe un riso roco, scatarrante. Ludovico esitò. Il vecchio era gli occhi, lui era i muscoli. “Andiamo” disse. Si avviarono inarcando le schiene.         .

A Roma, ricordando Luce d’Eramo…

Pubblicato il 26 Febbraio 2013 in Tempo presente | 1 Commento »

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Nei giorni 1-2 marzo p.v. (venerdì e sabato), a Roma, avrà luogo l’“incontro” Come intendersi con l’altro – Giornate di studio su Luce d’Eramo.

 

Il venerdì sera la manifestazione (Luce d’Eramo, l’altra deviazione) avrà luogo presso Fandango Incontro, in via dei Prefetti 22 alle ore 17; sabato (Su Luce d’Eramo) presso la Casa Internazionale delle Donne – Sala Carla Lonzi, in via della Lungara 19, dalle ore 10, e si protrarrà, con intervallo, fino al pomeriggio.

Interverranno numerosi esponenti della cultura italiana, fra cui Margaret Mazzantini (reading); per la fantascienza sarà presente Vittorio Catani.

 

Luce d’Eramo (pseudonimo di Lucette Mangione, Reims 1925 – Roma 2001) è stata una delle più notevoli voci della letteratura italiana, emersa a fine anni ’70 grazie al  romanzo autobiografico Deviazione, poi assurto a fama internazionale, nel quale l’autrice narrava le sue peripezie nei campi di lavoro tedeschi, dove…

 

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Saremo tutti Sanremo?

Pubblicato il 17 Febbraio 2013 in Tempo presente | 4 Commenti »

                                                                                                                                                                       Un personalissimo parere sul 63.mo Festival di Sanremo.

Credo che con questa edizione del Festival, la canzone italiana abbia toccato il picco più basso dal dopoguerra a oggi. Chiaro che anche la musica, “colta” (posto che oggi esista ancora una musica colta) o “popolare” che sia, si aggiorna, cambia, si evolve, ed è più volte accaduto negli ultimi decenni, ma bisogna vedere in quale direzione si evolve.

Quanto alla gestione del Festival, ho senz’alto apprezzato gli sforzi, l’estro e la professionalità di Fazio e della Littizzetto, di personaggi quali Crossa o - meglio ancora - Bisio; la perfezione degli orchestrali, lo strepitoso virtuosismo e la simpatia del pianista Bollani, l’apparato scenico, l’intero svolgimento dell’evento. Ma a parte tutto questo, e nonostante la pioggia di elogi della stampa e delle tv - finora non ho letto nessuna critica sfavorevole, neanche una - ho trovato il “cuore” del Festival, ovvero la musica, del tutto inconsistente.

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