Tania lo ascoltava a bocca aperta, le lacrime che minacciavano di inondarle le guance. - Mi infilerai un chiodo in un dito? La sua voce tremava. Con la coda dell’occhio vide che il fratello stava scuotendo piano la testa, come se anche nella sua scodella avesse trovato qualcosa fuori posto. Un fagiolo o un grano di riso. - Ti taglierò due ciocche di capelli e le arrotolerò attorno al chiodo che spunta dalla schiena del topo. Cominceranno a puzzare presto e a sporcarsi di sangue - Sorrise quasi paternamen­te. - Sto solo cercando di portare il cattivo odore della tua brutta azione vicino al tuo delizioso nasino. Vedendo quelle ciocche diventare lana crespa, sentirai la puzza fra i tuoi capelli. Sarà come metterti quel topo morto sulla testa o intrec­ciargli la coda fra i tuoi riccioli biondi. Sto solamente provan­do a correggerti, sorellina. Le guance rosate della bimba si inumidirono di lacrimoni. Ne assaporò il sale sulla punta della lingua, quando aprì la bocca per chiedere scusa con un filo di fiato. - Domani verrai con me nei boschi e mi aiuterai a cercare un cane randagio da appendere al cancano. Voglio che lo pianti tu... proprio in mezzo alla porta - Batté l’indice sullo stipite della porta. - Proprio qui, dove ho tenuto questo spazio grande.

* * *

Infagottata nelle ruvide coperte di lana, Tania vegliò quasi tutta la notte. Una mezzaluna di pelle rosa sporgeva sopra l'orlo del lenzuolino, nel silenzio della casa in mezzo al bosco. La mezzaluna era increspata da una piccola ruga: era la fronte di una bimba di sei anni immersa nel tormentato sonno del primo mattino. Singhiozzava. Il faccino era bagnato di lacrime e di sudore; il naso le colava.

Bronco l'aveva messa a letto come ogni sera, amorevolmente, le aveva raccontato una fiaba e si era poi allon­tanato con le sue pantofoline, che aveva scaraventato lontano, nel buio. Chissà dove. La mancanza sotto il suo letto di quella presenza rassicurante, le sue babbucce di pelo morbido indusse la bimba a singhiozzare più forte. Esausta, si era addormentata all'alba e in uno strano sogno stava vagando a piedi nudi lungo un sentiero del bosco.

…Sentiva sotto i piedini gli aghi di pino, la terra fredda e le foglie bagnate. Abbandonò il sentiero e si portò su un pendio ricoperto da un fulgido manto di erba e di riflessi rossi. Non erano fiori quelle macchie scarlatte che vedeva ondeggiare nel vento; al loro interno s'indovinavano qua e là barbagli lucenti, come di grossi insetti filiformi che attendessero un colpo d'aria per spiccare il volo. Tania cominciò a salire il pendio, verso una di quelle macchie di erba rossa. Intorno c'era un silenzio opprimente. A meno di tre passi dal contorno della macchia, ciò che vide le sembrò un gigantesco cardo, un solo enorme fiore che aveva il colore della carne cruda. L'interno del cardo era animato da un ritmico e lento pulsare, come il respiro di una creatura addormentata. Dopo una decina di passi, la bimba si ritrovò dall'altra parte del fiore, che in tutto doveva misurare non meno di quattro metri di diametro. Qualcosa la spingeva verso il centro di quella macchia, le diceva di andare, di farsi coraggio, e di affrettarsi a raccogliere il polline da quella corolla che sembrava polpa cruda. Si alzò in piedi ed entrò nel fiore rosso...

Voltò la testa sul guanciale e con la coda dell'occhio le parve di vedere una grossa libellula che volava nella penombra. Ma non voleva svegliarsi del tutto; aveva il sogno, c'era il suo fiore che aspettava... Un'altra ombra lunga e sottile le parve levarsi dai piedi del letto, e un'altra ancora sembrò uscire dalle coperte. Alzò leggermente una palpebra e sbirciò tra le ciglia; non voleva perdere il sogno, sapeva che se avesse sbarrato gli occhi per seguire quegli insetti volanti avrebbe smarrito definitivamente il suo fiore e probabilmente si sarebbe consegnata al terrore di quel risveglio... Eppure, era sicura che quegli insetti appartenessero al sogno e al fiore non meno di quell'indefinibile profumo di ferro arrugginito. Nella penombra grigia della stanza inquadrò tra le ciglia lo stipite della porta; l'immagine si sovrappose a quella del fiore pulsante e a sua volta parve animata da un rauco respiro. Le parve di scorgere due riccioli d'oro, due virgole di luce timide e distan­ti, conficcate con un chiodo nel legno. Che suono fanno i capelli di una bambina? Poco più a sinistra, nelle assi dure della porta avrebbe dovuto conficcare il cancano, con appeso il suo macabro fardello. Le libellule argentate che si erano levate dal fiore del sogno e poi dal suo guanciale svolazzarono a lungo attorno allo stipite, in cerca di un punto dove posarsi; infine conversero in gruppo verso i suoi riccioli biondi. Tania strizzò gli occhi e mosse decisamente i passi verso il centro del suo fiore...

Si era coricata senza dire una parola e per un rifiuto incon­scio aveva scordato di pettinarsi, come faceva sempre prima di andare a dormire. Ora sentiva i capelli arruffati che le pungeva­no le guance. Uno le si era infilato in bocca e lei lo aveva sputato con una smorfia sentendosi le labbra sgradevolmente amare. Tese un braccino verso il pavimento e si sentì pungere il pollice, proprio sotto l'unghia. Percepì un senso di liquido tepore che dalla punta del dito le colò adagio verso il palmo quando ritrasse la mano. Si mise il pollice tra le labbra e succhiò più forte che poté, avanzando lenta verso il centro del fiore.

... Bevve la stilla purpurea e quasi tutto il suo dolore.

Non molto lontano, suo fratello russava rumorosamente. Lo sentiva appena, ai margini della veglia.