Tania era rimasta seduta con le gambette penzoloni: rammentava vagamente di essersi appisolata e di aver sonnecchiato inquieta, aprendo spesso gli occhi per vedere se il suo fratellone era ancora lì seduto... con il cervello pieno dalla sua nebbia personale. In un momento di veglia si era presa la briga di accendere la candela rimasta dalla cena della sera prima. Aveva anche pensato di raccogliere i piedi sulla sedia e di massaggiar­seli piano, ma temeva che quel semplice gesto destasse Bronco annullando la sua nuvola di piacevole nulla. A notte fonda il transito della nuvola terminò; Bronco batté le palpebre ed estrasse il cancano dalla tasca. La bimba trasalì e tenne il fiato. - Devo punirti, lo sai, piccola? - Sì. - Deglutì.

In lontananza poteva udire un vociare concitato, il latrare eccitato dei cani, suoni di ferri e bastoni che cozzavano gli uni agli altri.

- Conosci la cambretta con punta Parigi?

- Sì.

- Scendi giù e trovamene una. Usa pure la candela.

Andò a prenderle le pantofoline e gliele infilò prima che smontasse dalla sedia. – Sta’ attenta a non bruciarti con la cera.

La bimba calò le suole sul pavimento di chiodi arrugginiti e si accovacciò sui talloni in cerca della cambretta.

* * *

Un uomo esaminò con cura lo strano oggetto alla luce ardente della sua torcia. Pendeva da un ramoscello come bava del diavolo. Chiamò i compagni che si spinsero sotto a guardare.

- Pare un nido di vespe - proclamò uno, ritirando la mano di scatto. - Punge e ce n’è dentro qualcuna.

- A novembre con ’sto gelo! Mica muoiono le vespe?

L'amico toccò il nido con la punta del bastone. - Ha la tinta dei mattoni vecchi. Resta il fatto che qualcosa là dentro mi ha punto il dito.

- Dagli un bel colpo di randello e buttalo lontano nella notte. Sembra ’na barba d'uomo con niente faccia sopra. Mi fa paura!

L'altro lo sferzò con violenza ed il movimento dell'aria spense due fiaccole lasciando il gruppetto ad interrogarsi nelle tenebre. I loro segugi abbaiarono con maggior veemenza.

* * *

Bronco ansimava con gran fatica. Le sue parole divenivano a tratti rantoli incomprensibili e doveva tacere per prendere fiato a metà di una frase. Nulla aveva captato, all'infuori di remote eco sotto le stelle.

- Li senti? Stanno cercando i caccia­tori... Non li troveranno mai, neppure coi loro maledetti cani.

Tania seguitava a frugare tra i chiodi, al chiarore pallido del moccolo che teneva in una mano.

- Vengono con gli schioppi, i bastoni e i forconi... e le roncole. Da Retegno e da Schignano... salgono perfino da Argegno. Si vede una luminescenza molto tenue fra gli alberi. Il lago è una pozza d'oro...

L’oscurità rimbombava della sua voce roca, baritonale.

Guardava dai vetri unti della finestra.

- Sono le fiaccole che portano. Si vede il profilo del Sasso Gordona, verso Mendrisio. Non arriveranno mai fin quassù... Mai!

- L’ho trovata - sussurrò Tania. - La cambretta...

- Tirati su, adesso.

Gettò il cancano da qualche parte sul pavimento e cadde nelle tenebre con una nota di ferraglia. Così se n’era andato.

Bronco tirò fuori dai calzoni la mano con i sette chiodi.

- Stammi a guardare, Tania. E’ la punizione.

Le prese il chiodo dalle dita e con la mano sana lo passò alla sinistra. Lentamente aprì l’altra a ventaglio, sul tavolo.

- E’ abbastanza forte. L'ho fatta riposare tanti anni - La sua voce si ruppe di nuovo in un accesso di tosse. - Non sono stato un bravo fratello. Neanche buono a crescere una mina di matita. Disubbidisci ancora... e la colpa è mia.

Calcò il pollice della mano sinistra sulla testa della cam­bretta e vi calò sopra tutto il peso del corpo. Nel dorso della destra. Al centro. Il sangue gli schizzò fra le labbra mentre si mordeva la lingua. Tania rimase ad occhi chiusi, paralizzata. Non aveva urlato, non aveva fatto nulla per fermarlo. Si era trovata senza un piano, puerile o sbagliato che fosse.

Il vociare degli uomini era salito d'intensità.

Tania raccolse la mano rigida del fratello e vi poggiò sopra le labbra. Sentì il sangue, il suo aroma vischioso e dolciastro; avvertì la capocchia del chiodo graffiarle la lingua e contrarle il labbro superiore sulle gengive. La prese tra i denti e la sentì cozzare contro l'avorio candido, sporcandolo di ruggine. Poi cominciò a succhiare. La sua lingua accarezzò il metallo quasi con languore. Quello era il suo bacio, il primo vero ba­cio...

Suo fratello non aveva più una mano con la quale accarezzarle i capelli, i riccioli d'oro spettinati.

Le pareva che ci fossero delle fiaccole accese là fuori; gente che chiamava e agitava bastoni nel buio. Sbirciò con la coda dell’occhio e continuò il suo bacio... con maggior passione...

In una nebbia strana; un bianco fumo di ovatta...

* * *

Spartaco, il vecchio cane di Mattia, è ancora là, su quelle montagne. Chi lo ha intravisto riferisce che è quasi completa­mente cieco ed un po' sbandato nel camminare. Si è inselvatichi­to. Certe notti d’inverno scende fino ad Argegno, sul lago. Viene a rubare le galline. E' pieno di croste sanguinolente, con il manto spelacchiato e rado; una specie di paglia metallica che la luna di gennaio fa brillare come ferro consunto. Sono i chio­di, mormorano tra quelle casupole. I chiodi e la ruggine di Bronco il Pazzo e della sua sorellina Tania... Sotto la pioggia, come muto fantasma dagli occhi rossi e sporgenti, la gente lo attende nervosa sbirciando dai vetri delle case, con lo schioppo tirato a lucido e la polenta sul fuoco.

Nota dell'autore

Il "risus sardonicus" è forse la manifestazione più conosciuta e agghiacciante dell'assai articolata sintomatologia del tetano. Nello specifico, si tratta di quel particolare sogghigno o smorfia prodotti dallo spasmo dei muscoli del viso. Viene associato spesso al "trisma", sorta di dolorosa contrazione dei muscoli masticatori, all'origine di numerose altre complicanze caratteristiche di questa malattia, le principali delle quali sono "laringospasmo", difficoltà respiratorie, accumulo di secrezioni e conseguenti polmoniti, che conducono il soggetto alla morte per soffocamento. Si tratta di una malattia che intacca direttamente il sistema nervoso centrale alterando le percezioni visive ed emotive, oltre alle normali funzioni motorie. Nonostante i miei sforzi nel fornire un quadro, il più possibile aderente alla sintomatologia suddetta, sono consapevole di aver creato un'a­strazione fantastica e di aver finito per lavorare molto di più con immaginazione che non con il rigore delle tesi scientifiche.