Il protagonista del libro, John/Jonah (Vonnegut?), che narra i fatti in prima persona spezzettandoli in una marea di brevi capitoletti, intercalando frequenti aneddoti e digressioni, si mette sulle tracce del defunto Dottor Hoenniker mosso dal proposito di scrivere un libro intitolato Il giorno in cui finì il mondo, un resoconto di ciò che gli americani importanti avevano fatto il giorno in cui la prima atomica era stata sganciata su Hiroshima. E nel corso delle sue ricerche John scopre che dopo la bomba atomica e prima di dedicarsi al problema delle tartarughe (per scoprire se per nascondere la testa nello scudo esse contraessero o ripiegassero la colonna vertebrale…), il brillante scienziato non aveva affatto abbandonato le sue ricerche per possibili applicazioni belliche. Il risultato segreto dei suoi studi ha condotto anzi all’arma di distruzione definitiva, che lui chiama ghiaccio-nove. Si tratta di una minuscola scheggia biancazzurra, di un seme in grado di “insegnare agli atomi di un qualsiasi liquido il modo in cui legarsi e fissarsi, in cui cristallizzare, in cui ghiacciare”. L’invenzione di Hoenniker, come tutte le invenzioni brillanti e risolutive, nasce da una piccola idea di tutt’altro tipo: aiutare i marine degli Stati Uniti a tirarsi fuori, con carri armati e camion e obici, dalla fetida fanghiglia di una palude dimenticata da Dio. Hoenniker voleva rimettere in marcia i marine e per questo sintetizzò il ghiaccio-nove, il cui punto di fusione era centoquattordici virgola quattro gradi Fahrenheit, circa quarantacinque gradi centigradi. Una temperatura sufficiente a ridurre la Terra a un deserto di ghiaccio.

E il ghiaccio-nove era sulla Terra.
Il ghiaccio-nove era l’ultimo dono che Felix Hoenniker aveva creato per l’umanità prima di raggiungere la sua meritata ricompensa. […]
Il vecchio era morto la vigilia di Natale, e aveva parlato del ghiaccio-nove soltanto ai suoi figli. E i suoi figli si erano spartiti il ghiaccio-nove.
La documentazione si risolve nell’azione quando John finalmente incontra i figli dello scienziato. Allora lo scenario passa dalla provincia americana alla Repubblica di San Lorenzo, allegoria di tante repubbliche fantoccio del Centro-America.A questo punto l’attenzione dell’autore si focalizza sulla religione imperante sull’isola e perseguitata dalle autorità, un culto creato da Bokonon, uno dei padri fondatori della repubblica isolana. Il bokononismo è un culto davvero singolare, le cui pratiche vengo trattate nel libro con una cura che è valsa a Vonnegut la laurea in antropologia honoris causa. Basti dire qui che questa religione creata a tavolino si basa sui foma, le menzogne innocue sufficienti per pacificare anche gli spiriti più critici e coerenti.E infatti il protagonista finirà per piegarsi all’evidente funzionalità del culto, che gli sarà utile per accettare senza porsi troppi interrogativi l’annientamento irreversibile di ogni forma di vita del pianeta a seguito di uno stupido incidente.

In Ghiaccio-nove, quindi, Vonnegut mette alla berlina il progresso scientifico ispirato dalla guerra, bene impersonato dal dottor Felix Hoenniker, un uomo abituato a vivere fuori dalla società, lontano dagli uomini, senza interrogarsi delle possibile conseguenze delle proprie azioni. Malgrado la sua intelligenza Hoenniker resta fondamentalmente un idiota, incapace di rapportarsi al vero mondo e ai suoi problemi. Il suo mondo è un mondo astratto, per questo le ricadute che finisce per produrre sul mondo reale sono così deleterie. E insieme alla scienza deviata e alla stupidità umana, l’autore si scaglia anche contro l’artificiosità della fede e la sua facilità di attecchimento presso le masse, specie negli strati sociali più disagiati e vessati. Intento per altro chiaro fin dall’incipit, che nella sua solennità biblica echeggia quello mitico di Hermann Melville in Moby Dick: “Chiamatemi Jonah”.

Evidente, qui, la provocazione nella provocazione, con il celebre Ismaele rimpiazzato da Jonah, nome tipicamente usato nel mondo anglosassone per indicare un portatore di sventure.