Ripubblicato di recente da Feltrinelli, La colazione dei campioni ovvero Addio, triste lunedì è stato stampato per la prima volta nel 1973, un anno in cui gli USA ancora risentivano delle conseguenze del Vietnam, sia in politica estera che interna. Kurt Vonnegut, allora, scrisse un romanzo per, come dice lui stesso nella premessa, liberarsi di tante cose che la sua cultura ha prodotto, mettendole su carta, attraverso parole e disegni. Il risultato è un libro in cui l’autore di Mattatoio N. 5 compie una dura satira contro la società americana, contro l’American Way of Life, ironizzando sul sogno americano, sulla società, sulla politica, sulla guerra. E sul concetto di verità.

 

La colazione dei campioni racconta di come Kilgore Trout parta per l’immaginaria Midland City perché invitato ad un festival delle arti per discutere della fine del romanzo americano nell'era di McLuhan; Trout, che non sa chi sia McLuhan, intraprende il viaggio intenzionato ad arrivare a Midland City somigliando quanto più possibile ad un barbone, per parlare, eventualmente, di come vivano i barboni. Kilogre Trout è il personaggio più noto di Vonnegut, una sorta di alter ego dell’autore, in quanto scrittore di fantascienza, autore di centinaia di libri e racconti, pubblicati però tutti su collane e riviste pornografiche. Trout inventa continuamente storie, partendo dagli spunti più strani, e trovando i titoli più fantasiosi. Uno di questi libri, in cui si racconta che la terrà è popolata da macchine e che soltanto un uomo è vero, in quanto esperimento del Creatore dell’Universo, farà impazzire definitivamente il rivenditore di auto Dwayne Hoover, che penserà di essere lui l’unico uomo sulla Terra.

Riassumendo, La colazione dei campioni consisterebbe nel racconto dell’incontro di Trout con Hoover, ma, scavando in profondità, il libro si rivela invece un modo per giocare col concetto stesso di romanzo e con l’idea di verità e per criticare pesantemente il consumismo, la società e la cultura di massa, già iniziando dal titolo (Breakfast of Champions è un marchio registrato di una marca di cereali). E' una non-storia in realtà, un modo per costruire qualcosa che rimane più o meno indefinito fino quasi alla fine; e allora ecco una satira geniale ed esilarante sulla società americana, sulle discriminazioni razziali, sulla pubblicità, sul funzionamento dei mass media, sulla guerra e sulla politica americana (incredibilmente attuale ancora oggi, purtroppo); satira aiutata da altrettanto geniali illustrazioni realizzate da Vonnegut che rappresentano i concetti più importanti che bisognerebbe conoscere se non si sapesse niente della Terra e degli Stati Uniti. Il sarcasmo di Vonnegut cala quindi anche sulla cultura, sui romanzi e sulle opere d’arte che vengono prese come oro colato e a cui si attribuisce un enorme significato, che magari è soltanto il risultato delle più avanzate strategie di marketing: verità preconfezionate, cercate a tutti i costi e vendute come un qualsiasi altro prodotto.

 

Il fatto è che non sempre c'è una verità univoca. Vonnegut scrive un romanzo in cui entra lui stesso, a raccontarcene l'assurdità, in cui da creatore ad un certo punto si fa personaggio, anche con elementi autobiografici, per smontare gli stessi meccanismi del racconto e della narrazione, destrutturando la storia inserendovi e collegando insieme tanti di quei personaggi e tanto di quel materiale da auspicare "che mettessero gli altri ordine nel caos, io avrei messo caos nell'ordine". Questo è, quindi, un romanzo dei più liberi che siano mai stati scritti, sia nei contenuti che nello stile e nel linguaggio, semplice e crudo ma comunque mai volgare; un romanzo che non contiene verità ma che racconta la ricerca della verità, senza nessuna pretesa di assolutezza, riconoscendo la libertà degli individui nella libertà dei personaggi, a cui il creatore/narratore donerà libero arbitrio.