Manituana. Cos’è Manituana? Solo il suono di questa parola affascina, fa pensare a qualcosa di magico e misterioso, ed infatti è così: una antica leggenda indiana individua in Manituana le terre che il Padrone della Vità donò agli indiani che abitavano le zone fra gli attuali Stati Uniti e Canada, terra che si frantumò nelle isole del San Lorenzo.

Il collettivo Wu Ming si è immerso nella Storia e ne è riemerso con una pietra grezza che ha lavorato fino ad ottenere questo romanzo affascinante, un romanzo storico, certo, ma anche un romanzo di avventura, di amori, guerra, magie, fantasmi, vento, acqua, terra e fuoco.

Manituana è ambientato principalmente fra il 1775 ed il 1779, gli anni della rivoluzione americana e della nascita di una nazione, gli Stati Uniti. Di quella storia generalmente sappiamo poco, se non, semplificando al massimo, che gli “eroi” della libertà combatterono contro il giogo inglese. Ma le cose andarano veramente così? Dal loro viaggio nella Storia i Wu Ming sono tornati con qualcosa di molto più complesso, perché non fu una guerra fra i cattivi inglesi ed i buoni patrioti americani ma si trattò di una guerra civile, cruenta e sanguinosa, che si combatté anche con la guerriglia, con eccidi, con stupri etnici. Come recita la quarta di copertina del romanzo, “una storia dalla parte sbagliata della Storia”, quella di chi ne uscì sconfitto, gli americani lealisti e i nativi americani delle Sei Nazioni Irochesi (Mohawk, Cayuga, Oneida, Onondaga, Seneca, Tuscarora), alleati degli “inglesi”.

Definiamo ancora meglio il contesto storico. In quello che era il New England, Sir William Johnson era il commissario per gli affari indiani nominato dalla corona inglese; Sir William (che assunse il nome indiano di Warraghiyagey, “Conduce grandi affari”) stabilì rapporti di rispetto reciproco con le nazioni indiane, le quali continuarono a vivere prosperando nelle loro terre e nei loro villaggi; fra coloni ed indiani c’erano relazioni di ogni genere, commerciali, culturali ed anche familiari (lo stesso Sir William sposò una donna mohawk, Molly Brant, che gli diede otto figli). Tutto questo fino alla morte del commissario: poi venne la guerra.

Manituana si rivela subito un romanzo corale, come tipico nei libri del collettivo Wu Ming, ma emergono chiaramente alcuni protagonisti, realmente esistiti, Joseph Brant Thayendanega (“Lega due bastoni”), fratello di Molly, Philip Lacroix Ronaterihonte, detto le Grand Diable per la sua aura di guerriero invincibile, la stessa Molly Brant, dai misteriosi poteri e dal grande carisma sulla sua gente.

Allo scoppio della guerra le Sei Nazioni devono scegliere con chi stare: i Mohawk garantiscono la loro fedeltà alla famiglia Johnson, le altre Nazioni sono più ondivaghe; non tutti gli indiani capiscono che non si tratta soltanto di una guerra tra bianchi ma che in ballo vi sono le proprie terre e, soprattutto, la propria esistenza. Questo è un punto cruciale del romanzo e della Storia: sarebbe potuto cambiare tutto, o forse no; forse gli indiani avrebbero continuato a prosperare e vivere pacificamente con i bianchi o forse sarebbero stati comunque sterminati, ma quel che è certo che i Wu Ming hanno colto un nodo fondamentale della Storia.

Il lettore sa come andrà a finire la guerra, quale sarà la parte vincitrice ma i Wu Ming creano una architettura narrativa perfetta nella quale ogni personaggio ha il suo ruolo, cresce, matura, diventa un capo o un guerriero, come Joseph e suo nipote Peter, trasformati da un viaggio a Londra, dove incontreranno il re per suggellare l’alleanza della loro nazione all’Inghilterra.

Il lettore viene trasportato in quell’epoca ed in quei luoghi: sente i profumi delle foreste, la voce del vento ed i rumori della terra attraverso Molly e Philip, guerriero e cacciatore solitario, che legge Voltaire e Rousseau, che scende in guerra in nome di un’antica fedeltà; scorrendo le pagine vive le battaglie, cruente, raccontate senza censure, gli uomini scalpati, il sangue che scorre a fiumi, il dolore portato da un fronte all’altro.

Ovviamente la guerra è il tema centrale, ma c’è tanto altro in questo libro, quasi un romanzo epico, e vale davvero la pena di scoprirlo.