Una scia di ricordi, che attraversano questa città. Inseguiti da questa donna, alla ricerca dei colpevoli di un passato che continua a sanguinare. E forse, in cerca anche di sé stessa.
In estrema sintesi, si può provare a condensare così Le dodici ore di Vic, racconto lungo (o romanzo breve) di Francesca Cavallero, già autrice, tra gli altri, di Le ombre di Morjegrad (premio Urania 2018). L’autrice sceglie ancora una volta una protagonista femminile, dal passato doloroso e dotata di capacità fuori dal comune.
E ci accompagna nella sua vita tormentata, con una scrittura essenziale, scabra e ruvida: ci sembra di esser lì, anche a noi lettori, in quel bar malfamato ricavato da una catapecchia di lamiere, dove Vic prova ad affogare i suoi ricordi. E ci sembra di essere lì, al suo fianco, mentre trascina il peso delle sue colpe tra i muri semicrollati e crivellati di proiettili di Nitens. Inseguendo i colpevoli di un colpo di stato risalente ormai a diversi anni prima, grazie ai poteri conferitigli dal Chew-9, sostanza di cui è dipendente.
Nessuna riflessione politica ed esistenziale. Ma è dalla stessa vita e dal sangue di Vic che traspare la violenza di una società corrotta, la sete di potere, ricchezza e dominio che pure caratterizza anche i nostri tempi – e tante volte noi stessi. La scelta stilistica di alternare il presente e i ricordi di Vic aiuta a sentire ancora più vicino il peso delle sue scelte, e il dolore delle persone perse. Il dramma del ricordo. Senza una possibile espiazione, se non il rifugio nell’oblio.
Una storia viva, quindi, che trasporta il lettore in un contesto futuristico ben descritto, seguendo le orme di una donna intrappolata tra il suo passato, il suo confuso presente, il suo (apparentemente) impossibile futuro. Torna in mente Ursula K. Le Guin, quando nella prefazione a La mano sinistra delle tenebre scriveva «La fantascienza non prevede; descrive». Con Le dodici ore di Vic non si sperimenta un’alienazione in un mondo lontano e immaginato, utile a “staccare la spina” per un po’: si vive l’esperienza di un’avventura drammatica, che parla del nostro oggi e delle nostre vite.
In conclusione, la violenza del potere e la potenza dell’oblio non hanno l’ultima parola. Ciò che si prova, alla chiusura del romanzo, è più un senso di perdita, di qualcosa che ci è passato tra le mani e ci è scivolato via come sabbia. Ma che c’è stato. E che non dimenticheremo facilmente.
Un po’ come Vic.
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