Che cosa sono lo spazio e il tempo? Sono entità fisiche oggettive o si tratta di rappresentazioni mentali costruite sulla base della nostre esperienze sensoriali? Da sempre filosofi e scienziati si sono arrovellati su questi concetti che travalicano la pura fisica e vanno a sconfinare in strani territori di frontiera, dove convivono insieme le grandi domande della scienza, ma anche i grandi misteri dell’esistenza umana. Ma una risposta davvero soddisfacente non è ancora stata data. Proprio in questo periodo ricorre il centenario della pubblicazione della Teoria della Relatività Ristretta di Einstein, era il 1905 e, quell’evento memorabile diede il via a una rivoluzione di portata epocale, una rivoluzione ancora più grande di quella di Galileo, forse la più grande di tutta la storia umana. Perché fu una rivoluzione non solamente scientifica, ma culturale nel senso più ampio possibile, in quanto rivelava all’uomo che la realtà era ben diversa da come era abituato a considerarla e chiedeva all’uomo lo sforzo di cambiare in maniera radicale il suo modo di prenderla in considerazione. Parliamo del crollo della meccanica classica e del sorgere quasi contemporaneo di due nuove teorie, la Relatività (prima Ristretta e poi Generale) e la Meccanica Quantistica, al punto che, nella storia della scienza bisognerebbe considerare il 1905 come Anno Zero e contare il tempo a partire da quella data.

Prima di Einstein vigevano infatti le Leggi di Newton, baluardi che resistevano da ormai più di due secoli. Sembravano impeccabili. Con poche formule, a partire dalle condizioni iniziali, Newton sembrava in grado di predire con esattezza qualsiasi fenomeno. Tutto il creato aderiva di buon grado a quelle leggi matematiche con una precisione tale da essere considerate quasi l’ombra dell’attività divina. Ma Galileo, Newton e gli altri scienziati che fecero la storia della fisica classica, basarono i loro studi sull’esperienza, ovvero sull’osservazione della realtà che avevano intorno.

Naturalmente questo per loro era l’unico modo, un modo che dava per scontato non ci fosse alcuna discrepanza dalla realtà che i loro sensi percepivano, dalla realtà “vera”, quella che costituisce l’autentica trama dell’universo in cui viviamo. Poi, quando alla fine del ‘700, Volta cominciò i suoi primi esperimenti sull’elettricità, sembrò esserci un piccolo scossone alla realtà consolidata. Esisteva qualcosa che non si vedeva. I confini della realtà dovevano essere spostati un po’ più in là, verso una zona di cui non si sospettava l’esistenza: l’elettricità e il magnetismo. A mettere le cose a posto, seppur per pochi anni, fu James Clerk Maxwell che, con la formulazione delle omonime leggi, riuscì a inquadrare anche quei nuovi fenomeni che sembravano essere sfuggiti dall’ordine consolidato della meccanica classica. In quel momento della storia del pensiero umano, nella tarda metà dell’800, c’era chi riteneva che ormai non ci fosse più niente di grosso da scoprire. Mettere qualcosa a punto, magari, dare una limatina qua e là, ma le grandi leggi che regolavano il mondo sembravano ormai patrimonio dell’umanità e ben presto i fisici avrebbero dovuto trovarsi un altro lavoro. Per fortuna loro, ciò non accadde.