Dopo l’interessantissimo Tatoo in cui le suggestioni della moda dei tatuaggi si mescolavano con il retaggio degli incubi nazisti, Robert Schwentke torna a sorprendere il pubblico con Flightplan – Mistero in Volo, interpretato da Jodie Foster. Una pellicola ad alta tensione in cui il regista tedesco dà vita a delle atmosfere hitchcockiane nel raccontare la strana e complessa storia di una donna che in volo tra Berlino e New York si accorge che sua figlia è scomparsa. Un thriller claustrofobico gestito in maniera perfetta sotto il profilo visivo dal cineasta che sicuramente diventerà uno dei grandi talenti del cinema internazionale.

Sia in Flightplan che in Red Eye sono evocate le suggestioni dell’11 settembre. Qualcosa è cambiato?

In questo momento si stanno già preparando dei film sulla tragedia delle Torri Gemelle. Qualcosa che solo un anno fa sarebbe stato impensabile, soprattutto quando noi siamo entrati in produzione con questa pellicola. Credo che sia un modo per affrontare un argomento che è troppo difficile prendere di petto e che puoi affrontare solo così, in maniera indiretta, da un angolo diverso. Un film di genere vagamente travestito rappresenta una maniera più sicura per avere a che fare con questo tipo di argomenti. E’ un tipo di pellicola che ti permette di seguire la narrazione confrontandoti con le tue paure personali. Quello che il genere horror e il thriller dovrebbero sempre potere fare: confrontarsi con la realtà da un altro angolo.Ad un certo punto, in una delle sue tante sceneggiature Flightplan doveva essere ambientato su un aereo coinvolto in un progetto terroristico simile a quello dell’11 settembre. Ovviamente quando noi siamo andati a girare il nostro film abbiamo dovuto cambiare molti elementi.

Tra cui anche il fatto che il protagonista principale era un uomo e non una donna…

E’ stato un altro cambiamento necessario quando abbiamo saputo che Jodie Foster era interessata alla sceneggiatura. Del resto avere una madre e una figlia rendeva tutto molto più organico. Le donne sono con i figli un tutt’uno e si sentono di continuo storie incredibili sulla forza e il coraggio che alcune madri hanno sfoderato nel salvare in momenti di grave pericolo i loro piccoli. E’ di quel tipo di intensità che avevamo per un film ambiguo ed intellettuale come il nostro. Questo ci ha permesso di rendere la narrazione in maniera molto emotiva.

Cosa ha portato Jodie Foster allo sviluppo del film?

Il suo talento e la sua grande onestà intellettuale. In più ha una capacità di analizzare quello che in un testo funziona e quello che non va. Ha una sorta di "stronzatometro" incorporato che le permette di evitare tutti gli errori. Se qualcosa non ha senso dal punto di vista emotivo, lei lo rifiuta. Per quanto ambientato in uno spazio artificiale il suo obiettivo è quello di essere sempre vera emotivamente nei confronti della storia.

Nel film l’aspetto visivo è più curato di quello della sceneggiatura…

Abbiamo preso alcune libertà. Questo è un film molto semplice e diretto che segue un certo tipo di svolgimento narrativo peculiare. La realtà è sempre molto diversa dalla finzione. Nel cinema il tempo è poco in più non volevamo essere particolarmente accurati. Per noi era più importante concentrarci sul personaggio principale: questa era la nostra priorità. Era il suo stato mentale che volevamo enfatizzare, non il resto. Del resto questo implicava semplificare alcune situazioni rispetto ad altre.

Possiamo tracciare qualche analogia con La Signora scompare di Alfred Hitchcock tutto ambientato su un treno?

Robert Schwentke
Robert Schwentke
Direi di sì e non c’è nulla di male. Tra l’altro c’è un evidente omaggio con il cuoricino che viene fuori dal vetro appannato. Le similitudini con quel film stavano nell’idea di controllare tutto. Diciamo che tutta l’aurea del film è molto controllata. In genere si parla sempre di Hitchcock in relazione ad ogni thriller. Soprattutto per uno come questo ambientato in uno spazio chiuso. Non credo che ci sia stata un’influenza concreta oltre a quelle sulla sceneggiatura…

Quali sono le influenze concrete che lei avverte sul suo cinema?

Sicuramente quelle di Fritz Lang e Otto Preminger: mi piace l’idea del contrasto tra destino e volontà e adoro la disciplina intellettuale di questi registi che si esplicita in un modo peculiare di controllare la storia. Mi piace l’idea dell’Espressionismo, ovvero che il mondo è soltanto un riflesso, una proiezione del proprio stato mentale. L’inizio di Flightplan è una proiezione dello stato mentale della protagonista. Il mondo è ciò che noi vediamo.

La donna interpretata da Jodie Foster è una specie di eroina post moderna…

In America la concezione degli eroi è molto più organica che da noi in Europa, perché – in genere – è la sintesi e l’espressione di tutti i loro miti. In genere l’epica del western è quella dell’individuo che risulta vincente sull’ambiente che lo circonda. Per questo motivo per me è stato molto importante lavorare a questo film in America: Jodie Foster diventa l’eroe in cui tutti quanti vogliamo lei si trasformi.