Chi è Giampietro Stocco e cosa fa?

Sono nato a Roma nel 1961 e mi sono laureato in Scienze Politiche nel 1986. Ho frequentato un master in storia all’Università di Roskilde in Danimarca. Ho vissuto in quel paese dall’’87 all’89. Poi ho vinto un concorso pubblico nel 1988 e sono diventato un giornalista della RAI. Sono stato assunto nel 1991. Ho lavorato alla sede regionale per le Marche, al GR2 e, dal 1998, alla sede regionale per la Liguria. Da allora vivo a Genova.

Come e quando è nato il tuo interesse per la fantascienza?

Parlando di cinematografia, da bambino. Sono cresciuto con Star Wars e gli Incontri Ravvicinati, adoravo Lucas e Spielberg. Letterariamente parlando, è stato invece un interesse tardivo. Ho cominciato a leggere fantascienza dopo i trent’anni, e ho cominciato a divorarla dopo i 35. Mi sono imbattuto in Orson Scott Card e nel Gioco di Ender, in Edmond Hamilton e nei suoi Sovrani delle Stelle, e soprattutto nel ciclo dei Vor di Lois McMaster Bujold. Tutte opere che mi hanno segnato, soprattutto per un certo impianto, solido e ben identificabile. Poi ho incontrato P.K. Dick, e mi si è aperto un altro mondo.

Dai romanzi che hai scritto è evidente che ti piace la “storia alternativa”. Come è nato questo interesse?

Tutto nasce con Dick, come dicevo. La svastica sul sole mi piacque moltissimo: stava sullo stesso scaffale insieme ad altri volumi non fantascientifici, ma di fantapolitica, come Barbarossa Red di Dennis Jones oppure i libri di Tom Clancy. Ancora di più mi piacque Fatherland con la sua indagine sulla psicologia del protagonista. Mi intrigava questo desiderio di cambiare il corso della storia e vedere cosa sarebbe successo se qualcosa di sostanziale fosse andato in modo diverso da come avevo studiato. Poi cominciai a cercarli, questi autori, diciamo così, atipici. E trovai Harry Harrison, con la sua Via degli Dei, e l’Era degli Ylané. Infine approdai a Harry Turtledove. E’ lì forse, che decisi anche io di provare a scrivere un romanzo di storia alternativa.

Il tuo precedente romanzo Nero italiano si svolge in una Italia ove negli anni ’70 governa ancora il fascismo, ed il punto cruciale della svolta storica si colloca nella neutralità del nostro paese durante la Seconda guerra Mondiale. Come motivi questa scelta?

In molti si sono chiesti cosa sarebbe successo se Mussolini avesse preso quella decisione. I più sostengono che non avrebbe mai potuto farlo, ma altri ritengono che fosse possibile. Non è che proprio tutto il fascismo fosse allegramente e gioiosamente convinto della necessità di quella guerra, al di là delle responsabilità oggettive che il regime ebbe nella persecuzione di oppositori, ebrei e popolazioni indigene nella guerra d’Etiopia. Mussolini non si fidava completamente di Hitler, e se l’influenza di Ciano fosse stata maggiore è possibile che la scelta della neutralità potesse essere compiuta. Di lì poi parte la linea temporale alternativa. Un’Italia fuori dalla Seconda Guerra Mondiale poteva sicuramente risparmiare il fascismo per qualche decennio: immaginate che colpo propagandistico: l’Italia oasi di pace nel mondo che prendeva fuoco. E Mussolini ne avrebbe tratto vantaggio. Rimanere fuori dalla guerra per lui poteva equivalere a vincerla per Hitler, riferendoci ad esempio a Fatherland. Ma un fascismo negli anni ’70, con un mondo in oggettiva evoluzione, secondo me avrebbe significato un’“ispanizzazione” dell’Italia, insomma, Mussolini si sarebbe trasformato in qualcosa di simile a Franco e l’Italia sarebbe andata alla deriva in Europa. Di qui l’ambientazione di Nero Italiano. La curiosità era anche cercare di mettere insieme regime fascista e movimento studentesco, oltre al nascente terrorismo di sinistra.

In questo romanzo uno dei protagonisti è un giornalista, sei tu?

In parte sì, in parte no. Pagina dopo pagina, Marco Diletti si rivela una specie di deserto emozionale. E’ legato solo alla carriera, non è attaccato ai genitori, ha un rapporto estremamente maschilista con le donne. Con me ha in comune il lavoro e basta. Diciamo che trasporre un mio alias è stato solo un modo per divertirmi a immaginare come poteva essere la mia azienda in una linea temporale alternativa. Di più mi concentrerei sul personaggio di Maria De Carli, che è quello che ho amato di più: una “femme fatale” tutta d’un pezzo, dove qualcuno ha anche visto qualcosa di edipico, una sorta di eroina in nero, totalmente dedita al suo delirio lucido.

Allora Dea del Caos è un seguito di Nero italiano?

E’ un sequel, nel senso che si parte da dove Nero Italiano si era interrotto. C’erano delle carte che il protagonista, Marco Diletti, riceveva alla fine del romanzo. Queste carte giocano un ruolo molto importante in Dea del Caos.

Parlaci di questo romanzo.

Marco Diletti è andato in pensione. Si è trasferito a Genova agli inizi degli anni ’80 dopo che l’Italia si è drammaticamente divisa in tre spezzoni. Chi ha letto Nero Italiano ricorda la fine tumultuosa del fascismo alternativo. Ciano si ritrova in un tentativo di golpe filonazista, ordito dal presidente del Consiglio incaricato Maria De Carli. Chiede aiuto a Speer, presidente della Germania, e questi invia una divisione aviotrasportata. Un’operazione di polizia sanguinosa, in cui Ciano trova la fuga e l’Italia comincia a spaccarsi. I tedeschi occupano tutto il Nord-Est e istituiscono un protettorato. La monarchia vacilla, e viene indetto un referendum. Vince la repubblica, ma dopo le elezioni i comunisti insorgono protestando per brogli elettorali: il resto del Nord va per conto suo e si costituisce in Repubblica Democratica Cisalpina, sotto un regime comunista. Il Sud rimane fermo per evitare una guerra civile. Marco Diletti cerca fortuna in questo contesto, fuggendo da Roma con un “peso” in più, una bambina di nome Bianca, che gli dicono essere sua figlia. Ma chi è la madre di Bianca? E cosa ne è stato di una fantomatica cartellina verde contenente dossier riservati dell’OVRA sul leader comunista Antonio Murgita, capo carismatico dell’Italia comunista? Lo scoprirete, se vorrete leggere Dea del Caos.