Wes Craven è – senza ombra di dubbio – uno dei registi horror più amati e stimati di sempre. Film come Scream e Nightmare sono entrati nell’immaginario collettivo ancora prima che negli incubi di generazioni differenti di cinefili e di appassionati. All’età di sessantasei anni, Craven, regista e produttore, continua a lavorare nella Hollywood abitata dai mostri del marketing e dagli sgherri di Corporations che chiamano un film "prodotto" e che non hanno visto nulla o quasi. Una lotta quotidiana non facile che – a distanza di poco tempo – ha portato alla nascita di due pellicole diverse: Cursed e l’ultimo Red Eye in cui l’autore ha distillato le suggestioni dolorose e inquietanti dell’11 settembre.

Red Eye: perché questo titolo?

E’ in riferimento agli occhi arrossati dei passeggeri di un volo da Los Angeles a New York che viene preso da persone dell’industria del cinema. Dopo avere lavorato tutto il giorno e cenato a casa loro, questi executives prendono un volo notturno da L.A. e arrivano in tempo per lavorare a New York. Ovviamente alla fine perdi molto sonno… Nessuno di noi aveva realizzato che sarebbe stato scarsamente compreso al di fuori dell’industria del cinema. A dire la verità non avevo alcuna voglia di fare un altro film quando mi è arrivata la sceneggiatura di Red Eye. Poi, però, leggendola mi sono accorto della sua grande qualità e interesse. Per me era divertente potere lavorare ad un thriller interamente ambientato su un aereo dove i due protagonisti – per la maggior parte del tempo – si trovano praticamente seduti uno accanto all’altra senza fare molto altro. Un mio amico musicista mi ricordava che questa sceneggiatura poteva esprimere visivamente il concetto di musica da camera. La più difficile per qualsiasi gruppo di orchestrali, perché se uno sbaglia, tutti gli altri restano fregati da questo errore. Così è la situazione sull’aereo: la protagonista non può alzarsi, non può scappare, non può chiedere aiuto. Quello che per me rappresentava la sfida era proprio questo: domandarmi se ero in grado di mantenere fermi sulle loro sedie gli spettatori agendo solo su tre o quattro personaggi senza rovinare nulla e senza – soprattutto – commettere alcun errore. L’aereo è un po’ un distillatore delle caratteristiche principali dei personaggi. Abbiamo girato la pellicola molto velocemente in modo da uscire nei cinema prima di Flightplan con Jodie Foster. Il risultato di questa velocità di lavorazione è che il film è molto breve, veloce, compatto ed elegante. Ha un ottimo ritmo.

La maggior parte dei suoi film termina in una casa o comunque in uno spazio chiuso…

Perché un’abitazione è un po’ il simbolo delle persone che ci vivono e di quello che sono. Per me è un po’ l’equivalente di un corpo e di una mente combinati in un unico luogo fisico. Per me è uno spazio molto evocativo e potente.

Perché anche in Red Eye le donne sono le principali protagoniste dei suoi film?

<i>Red Eye</i>
Red Eye
Non è insolito. Arriva già dall’epoca del cinema muto. Anche di recente pellicole come The Ring, The Grudge e The Eye vanno in questa direzione, mostrando donne vulnerabili. James Cameron, però, con la saga di Terminator ha dimostrato come questi personaggi possono evolvere. Basta pensare a Linda Hamilton come è nel secondo film rispetto al primo in cui è una ragazza in pericolo. La vediamo con dei muscoli enormi mentre fa ginnastica sulle sbarre di una prigione. E’ completamente trasformata. Personalmente adoro le donne. Sono figlio di una donna rimasta vedova quando avevo solo quattro anni e so rendermi bene conto di quale sia la forza delle donne nella vita di tutti i giorni. Oltre questa motivazione personale c’è una considerazione riguardo al fatto che oggi le donne stanno conquistando la parità dei sessi: sono forti, hanno potere e hanno conquistato l’accettazione da parte di tutti. C’è voluto del tempo per raggiungere l’uguaglianza. Da qualche parte del mondo ancora non si è realizzata, ma arriverà. Ed è qualcosa di unico rispetto alla nostra epoca. Siamo testimoni di un processo senza precedenti. In più c’è il concetto classico della ‘damigella in pericolo’. Le donne tendono ad essere fisicamente più deboli degli uomini e questo è stato ampiamente sfruttato dal cinema e dalla letteratura. Non so ancora per quanto visto che questo stato di cose non durerà ancora a lungo dato che le donne sono atleticamente e fisicamente all’altezza degli uomini stessi.

Dirigerebbe un horror giapponese?

Sì. Qualche tempo fa ero pronto a realizzare Pulse ispirato al giapponese Akira, ma – solo cinque giorni prima delle riprese – gli Studios hanno dato uno stop alla produzione. Avevo scritto anche la sceneggiatura. Oggi, però, non lo rifarei, perché tutti fanno film del genere e io odio fare quello che fanno gli altri. E’ diventata una moda…

Lei ha abbandonato le maschere di Scream e di Nightmare per mostrarci il volto di un giovane ragazzo bello e affascinante, ma altrettanto pericoloso. Perché?

Credo interessante che il protagonista maschile indossi una maschera emotiva per tutta la prima parte del film facendo finta di essere una persona normale. Questa pellicola ha a che fare con quello che è una maschera è in senso astratto. Puoi continuare a raschiare via delle maschere e per la maggior parte del film questo è concentrato su chi sono veramente le persone che commettono atti di terrorismo. In più ci sono altre maschere che vengono tolte anche da lei. Anche quella della vulnerabilità che viene tolta per fare posto a quella della forza interiore della protagonista femminile.

Come spiega il fatto che in un’epoca piena di orrori reali, l’horror abbia così tanto successo dal punto di vista cinematografico, anche più che in passato?

Gli horror parlano sempre della realtà delle cose. Sia che queste accadano soltanto nella mente delle persone, sia che al di fuori. Sono una loro distillazione: sebbene più piccole e astratte riguardano fortemente il nostro mondo. Sono solo un’altra maniera per parlarne. Red Eye riguarda il terrorismo. E’ una sua astrazione che analizza come questo dramma possa entrare nella vita di una giovane donna assolutamente per caso. L’horror è la realtà ridotta ad un livello più piccolo. Io ho cominciato a fare film del genere proprio per questo motivo. Ero sconvolto da quello che vedevo accadere nel mondo e per questo ho iniziato a fare dei film horror. E’ un genere che ha successo, perché è uno specchio delle nostre vite in maniera differente.