Quando le radici: Giorgio Ferrari

di Vittorio Catani

Giorgio Ferrari è nato il 4 aprile 1946 a Genova, dove risiede. Si accostò alla fantascienza nel 1964 partecipando al famigerato Marziano in cattedra, una rubrica per scrittori esordienti varata da Fruttero e Lucentini sulle pagine della collana Urania. Collaborò attivamente alle iniziative amatoriali del periodo pubblicando racconti, disegni, strips, su varie testate specializzate e dedicandosi anche al fumetto e alla letteratura poliziesca per quotidiani ed editori come Gammalibri, Universo, Lancio e altre. Inoltre, in veste di soggettista e sceneggiatore fece parte dello staff di Topolino. Come autore di sf ha pubblicato racconti fino al 1990, alcuni scritti in collaborazione con Luigi Naviglio (firmati “G.L. Fernav”). Di queste storie, una diecina apparvero su fanzines; il resto su riviste varie (Perry Rhodan, Solaris, Verso le Stelle, Astro-Futura, Nova Sf* ed. Perseo), o su antologie collettanee quali Universo e dintorni (Garzanti, 1978) curata da Inìsero Cremaschi, e Pianeta Italia. Gli autori della World Sf Italiana (collana Narratori Europei, 1989) curata da Lino Aldani e Ugo Malaguti.

– Mi scusi, Professore – bisbigliò il Paziente – non ci sto più capendo niente...

– Non si dove preoccupare, ora – ribatté benevolmente lo Psicologo.

– Sono confuso... ho paura! – Il tono dell'altro si sollevò.

– Suggerisco di ricapitolare il tutto: dopo, troveremo il modo di sbloccare le sue apprensioni.

– Lo spero tanto, Professore. – L’uomo parlava sommessamente, teneva gli occhi bassi e si tormentava le mani. Attraverso la tela dei mocassini estivi, si vedeva che stava agitando anche le dita dei piedi.

– Si rilassi. Beva qualcosa.

– Grazie. – Il Paziente tese la mano per ricevere il bicchiere che gli veniva porto. Sempre nervoso: lasciò cadere un po' di liquido sulla moquette.

Il vetro tintinnò contro i denti. Gli sembrò che i cubetti di ghiaccio facessero rimble-rumble-rumble fra loro, come nei fumetti in cui la Valanga sta per raggiungere Jimmy Olsen e Lois Lane, e, giusto un attimo prima della fine, arriva Superman che li porta miracolosamente in salvo.

– Peccato non avere un amico come Superman – sospirò l'uomo.

– Prego? – chiese il Professore, che si stava preparando un Negroni con molto gin e ben tre fettine d'arancia, pelate a vivo.

– Mi scusi, mi sono raschiato la gola.

– Confessi piuttosto che stava riflettendo ad alta voce.

– Sì. – Dolorosa affermazione.

– Si consoli, non è il solo – commentò il Professore battendosi la curatissima unghia dell'indice su una tempia, mentre succhiava, quasi gioiosamente (forse lascivamente?), una fetta di arancia. Levò in alto il bicchiere e fece: – Prosit! –

– Salute – rispose il Paziente.

Bevuto il Negroni, il Professore si infilò in bocca le tre fette di arancia. Però ne lasciò un pezzetto fuori; così sembrava avesse la lingua spartita in tre, come un Visitor anemico.

Un po' di succo sgocciolava tranquillamente sui risvolti del camice e sulla cravatta.

Posati i bicchieri vi fu una lunga pausa imbarazzata. Ma, per la terapia, erano importanti anche i momenti di stasi: per raccogliere le idee e ponderare l'utilità del rapporto fra Medico e Paziente.

– Vogliamo ricominciare? – esordì finalmente il Professore.

– Le ho già raccontato tutto, perché...?

– Riesaminiamo la genesi della sua "nevrosi". – Calcò parecchio l'accento sul possessivo.

– Non ha preso nota? Non ha acceso il registratore? – Uno scatto di disappunto.

– Lo farò adesso – lo calmò lo Psicologo. – Rammenti: parlando si sfogherà, diminuirà la tensione. Per lei sarà un bene, figliolo.

Il Professore non aveva molti più anni del Paziente, però usava con lui uno stile dato dagli anni di Noè, dalla pazienza di Giobbe e dalla saggezza di Salomone. Inoltre aveva quell'aria sussiegosa che solo una Bella Laurea Viennese riesce a conferire, nonostante continuasse a succhiare in quella perfida maniera le sue tre tenere fettine di arancia del Negroni.

L'Uomo in Cura dall'altra parte della sua scrivania non era però il suo Antagonista, lo era il Problema che costui covava dentro.

Il Paziente era uno stimato Cassiere di Banca, che si trovava lì per confessare le proprie insensatezze. Ma queste offrivano un po' di resistenza a uscire. Gli effetti erano visibili: accavallava perennemente le gambe, mentre i suoi occhi sfuggivano quelli dello Psicologo, come se cercassero invisibili ragnetti sul soffitto e sulle pareti.

– Ho premuto l'avviamento del registratore.

– Bene.

Per altri cinque minuti si udì solo il ronzio del nastro che girava.

– Forza. – Una nota di leggera irritazione.

– Uhh... eehmm. – L'uomo si vellicò il pomo d'Adamo con un'unghia tremolante. Le sue corde vocali rasparono a vuoto.

– Non è un'audizione discografica: deve solamente parlare. Al resto penso io. Avanti, si decida!

– E’ che mi sento molto a disagio...

– Lasci giudicare a me.

– Be', ma è imbarazzantissimo.

– Lo so. Me ne ha già accennato poco fa, anche se in maniera alquanto confusa. Adesso si obblighi a rilassarsi, completamente. Apra una finestra nel cervello, faccia luce, spolveri via le vecchie ragnatele, e mi esponga tutto per benino.

– Cercherò.

– Ecco, bravo.

– Guardi, la prego di osservare il fatto che io sono una persona molto stimata, onesta, sincera, morale, normalissima, fedele, e per niente nevrotica.

– Non l'ho mai messo in dubbio.

– Grazie. L'unico momento della giornata in cui trovo in me qualcosa di strano è, esattamente, quando vado alla toilette...

– Dica pure "cesso": non mi formalizzo per così poco.

– Grazie.

– Di nulla.

– Proseguo?

– Prego. – Un benevolo gesto con la mano.

– E’ proprio in quel momento, mentre sto seduto sulla tazza del water, ed evacuo...

– Se vuole, può addirittura usare il verbo "cagare". Le mie orecchie sono ancora molto lontane dall'assumere una squillante colorazione porpora, quindi le concedo il comodo di esprimersi con termini di uso immediato: il suo cervello non deve sforzarsi di andare a pescare le parole fini da adeguare alla sua narrazione. Meglio che le cose vengano fuori direttamente e immediatamente.

– Ho capito.

– Proceda come le ho suggerito.

– Bene, precisamente in quei momenti lì, mentre mi libero gli intestini...

– Ha degli orari precisi per i suoi bisogni fisiologici?

– Mi lasci pensare... no: vado quando ne sento la necessità.

– Se le scappa, insomma.

– Giusto.

– E’ regolare?

– Una volta al giorno, sì.

– Bene, grazie. E poi...

– Ecco, è lì che mi sento strano. Molto, molto strano.

– Sulla tazza del cesso.

– Già.

– Curioso.

– E quello che mi sono detto anch'io. Per questa ragione mi sono rivolto a lei.

– Chi l'ha indirizzata?

– E’ l'unico psicologo che sia sul tragitto tra l'Ufficio Centrale della Banca e il mio appartamento.

– Apprezzo la sua sincerità.

– Dovere. Le ho spiegato che tipo sono, normalmente.

– Oh sì: si sente turbato unicamente quando sta facendo i suoi "bisognini" quotidiani...

– Da cosa può dipendere, Professore?

– E chi lo sa? Non abbiamo ancora finito di analizzare pienamente la questione.

Un altro minuto di silenzio. Lo Psicologo riprese in mano le redini del discorso: – Mi dica: cosa succede, di preciso, in quel frangente? Mi chiarisca le sensazioni che prova, ciò che la opprime, cosa le passa per la mente...

– E’ difficile...

– Ci provi.

– Ebbene io... non mi sento più me stesso. Mi sembra di essere del tutto estraniato, avulso dal mondo.