Nella prima puntata di questa rubrica ci siamo divertiti a immaginare possibili modalità di incontri con civiltà aliene, arrivando anche ad auspicarci una “task force”, una sorta di organizzazione mondiale per prepararsi al grande evento. In effetti, qualcosa si è poi letto su fantomatiche organizzazioni dell’ONU o di scienziati interessati al progetto di “accoglienza”. Qualcun altro ha anche ammonito le masse ricordando che gli alieni potrebbero anche avere intenzioni non proprio “buone”.

Chiudendo l’argomento, la domanda che ci vogliamo porre adesso è: perché non immaginare il contrario? Va bene l’ospitalità, ma anche noi potremmo andare a far visita ad altre civiltà. Potremmo organizzare un viaggio verso le stelle come spedizione spaziale e come esodo più o meno spontaneo. L’idea ce l’ha fatta venire un recente annuncio di un progetto della NASA di “astronavi generazionali”, tenuto fino a poco tempo fa segreto, per costruire una super-nave spaziale, destinata a un viaggio senza ritorno. La meta? Entrare nello spazio profondo e tentare la colonizzazione di pianeti compatibili con la vita dell'essere umano. A bordo dovrebbero infatti sistemarsi "volontari" di una delle più straordinarie esperienze concepibili: un gruppo di persone convinte ad accettare questo itinerario di sola andata per i superiori destini della nostra razza.

Una nave generazionale è un ipotetico tipo di astronave interstellare in grado di viaggiare a velocità molto inferiori a quella della luce, e proprio per questo destinata ad ospitare generazioni di esseri umani, in vista di un viaggio che potrebbe durare secoli o anche migliaia d'anni. Le navi generazionali sono state descritte come immensi scafi in grado di mantenere in vita per secoli un equipaggio di migliaia di persone, mantenendo un ecosistema necessario alla produzione di aria respirabile e cibo. Allo stato attuale della tecnica è l'unico sistema teoricamente attuabile.

Arthur C. Clarke, lo scienziato e il grande maestro di hard sf, ci ha descritto questo tipo di navi come immense e molto simili a un mondo in miniatura con gravità (forniata dalla rotazione di una delle sue parti, grazie alla forza centrifuga; in piccolo tutti possiamo ricordare la Discovery di 2001: Odissea nello Spazio) e atmosfera con eventi stagionali e quotidiani di tipo meteorologico (pioggia, sole, ecc.). Nel suo romanzo, Incontro con Rama, Clarke ci ha descritto tutto in maniera così particolareggiata che potremmo semplicemente seguire le sue istruzioni per costruirne una...

Ma come al solito poniamoci qualche domanda e dubitiamo del dubitabile.

Perché dovremmo intraprendere una simile avventura? I motivi potrebbero essere tanti: inquinamento che arriva a un punto di non ritorno con conseguenze catastrofiche per la “fauna” terrestre; sovrappopolazione con sempre più limitate scorte d’acqua e di cibo; piacere della scoperte e dell’avventura nello spazio (uno dei motivi più validi che ci ha anche portato sulla Luna è decaduto: la competizione tra USA e URSS).

Come? Ossia, come dovrebbe essere progettata la struttura dell’astronave? Come dicevamo prima, l’idea di Clarke per Rama potrebbe non essere male. I principali problemi che riscontrano gli astronauti sono legati all’assenza di gravità (osteoporosi, ipotrofia muscolare e mal di spazio), alla mancanza di riferimenti stagionali (l’alternarsi delle stagioni e delle variazioni climatiche e di luce), alla ristrettezza degli spazi comuni e privati.

Insomma servirebbe un’astronave enorme, con gravità terrestre, o comparabile, e un ecosistema in grado di permettere la crescita delle piante e il ricambio d’aria. Ovviamente l’indipendenza e l’autonomia del sistema sono imprescindibili: non ci sarà nessun aiuto dalla Terra in caso di guasti o di malattie endemiche delle coltivazioni e degli eventuali animali d’allevamento. Dovrebbe essere un piccolo mondo autonomo, magari una “bolla” trasparente, ma molto solida (dovrà resistere a meteoriti, raggi cosmici e altri eventi forse sconosciuti) con all’interno molto verde e tanto spazio.