Marte, e i suoi canali
Questo pianeta fratello resta comunque per l'uomo, rispetto agli altri, il luogo più ospitale del Sistema solare, anche più della stessa Luna. Va da sé che gli scrittori di fantascienza non si sono certo spaventati per... bazzecole del genere, specie prima che le sonde dimostrassero senza appello l'invivibilità di Marte per la specie umana.
Senza attrezzature adeguate, almeno.
Nel 1719 Marte salì alla ribalta della cronaca: per il gioco delle orbite esso venne a trovarsi insolitamente vicino a noi (cioè a un'ottantina di milioni di km.), e seminò autentico panico tra le folle superstiziose. Era divenuto una "stella" di prima grandezza, luminosa e rossastra (da qui il nome di Pianeta Rosso), quasi fosse un bolide di fuoco lanciato verso la Terra, o una sorta di malefico occhio sanguigno deciso a scrutarci. A parte poi l'associazione del suo nome con quello del classico dio della guerra.
Il 1877 fu un altro anno in cui in pianeti furono particolarmente prossimi. I telescopi si erano maggiormente evoluti, e l'astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli credette di individuare sulla superficie del corpo celeste un intrico di linee e macchie di colore, di forme e struttura periodicamente variabili. Poiché già si deduceva che Marte fosse gelido e desertico, il passo "logico" fu breve: quelle forme erano la testimonianza che Marte fosse abitato.
Fu soprattutto l'astronomo statunitense Percival Lowell a riprendere e "colorire" l'idea di Schiaparelli. Le strane linee furono chiamate Canali: secondo Lowell si trattava probabilmente di colossali opere di ingegneria planetaria convoglianti acqua dai poli verso le zone più scure, ritenute a loro volta ultime oasi di vegetazione su un mondo vecchio e morente. Insomma Marte era antico, aveva abitanti e costoro, forti d'una tecnologia più avanzata, lottavano eroicamente per prorogare i tempi della loro estinzione. La fantasiosa congettura venne a sua volta avallata da studiosi di fama ed ebbe enorme risonanza, anche se non pochi furono gli scettici. Oggi, in verità, inutilmente cercheremmo al telescopio o con le sonde spaziali i famosi Canali; e a lungo ci si è interrogati sulla natura di un simile contagioso fenomeno di allucinazione collettiva, dovuto essenzialmente (si ritiene) alle imperfezioni dei telescopi. Aggiungiamo che proprio in quel periodo destavano eco grandi opere di "ingegneria planetaria", quali il Canale di Suez e quello di Panama; contemporaneamente si registrava un grande interesse per scavi archeologici in zone desertiche (Schliemann scoprì i presunti resti di Troia nel 1871) riguardanti civiltà sepolte, o addirittura sconosciute. In definitiva potremmo dedurne che ogni epoca crea la propria realtà e le proprie grandi "verità" in modo autoreferenziale, insomma guardando inconsapevolmente in uno specchio.













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