Cronache da Marte

E' inequivocabile che il maggior "costruttore di Marte" sia stato Ray Bradbury. Cronache marziane in realtà non è un romanzo bensì una raccolta di racconti, indipendenti tra loro eppure legati dal comune tema della futura colonizzazione del pianeta.

Con coraggio e lungimiranza, nel 1954 Giorgio Monicelli tradusse e pubblicò nella elitaria collana mondadoriana La Medusa il libro di Bradbury, riconoscendogli quindi un valore che andava oltre le etichette e i generi narrativi.

Si tratta di un'opera molto ricca, e in spazi brevi se ne può solo dare un'idea. L'autore, nella sua tipica prosa onirica, un po' barocca, presenta un vastissimo ventaglio di luoghi e situazioni con originalità, accattivante fantasia e grande conoscenza dell'animo umano. Si va dal racconto dei neri non ancora emancipati che dagli Usa e dagli slums fuggono su Marte con le loro povere cianfrusaglie, all'uomo che voleva arruolarsi a ogni costo tra i Coloni ma viene invece rispedito brutalmente a casa, a guardare da lontano le astronavi che si alzano in volo verso la nuova patria; ai paesaggi incantati e favolosi del Marte notturno, al risveglio di fantasmi di antichissime e variopinte civiltà sepolte sotto le sabbie o tra gli antichi Canali; e così via.

Ecco L'estate del razzo, brevissima storia che fa da incipit alle Cronache:

Fino a un istante prima era ancora l'inverno dell'Ohio, le porte chiuse, i vetri alle finestre coperti di brina, stalattiti di ghiaccio a frangia di ogni tetto, bimbi che sciavano sui pendii, massaie dondolanti come grandi orsi neri nelle loro pellicce sulle vie gelate. E a un tratto... una lunga onda tiepida era passata sulla cittadina. Una marea d'aria calda, quasi che qualcuno avesse lasciato aperta la porta di una panetteria. Le stalattiti di ghiaccio si staccavano e, in frantumi, si scioglievano rapidamente. Le porte si spalancavano. I ragazzi buttavano via gli indumenti di lana. La neve si scioglieva a mostrare la verde, antica prateria dell'ultima estate. L'estate del razzo: le parole passavano di bocca in bocca nelle case aperte, la calda aria del deserto mutava i ghirigori di ghiaccio sulle finestre. L'estate del razzo. La gente si sporgeva di sotto le verande gocciolanti.

Il razzo stava sul campo di lancio eruttando rosee nubi di fuoco, si levava nella fredda mattina invernale e creava l'estate a ogni respiro dei suoi possenti ugelli di scarico. Il razzo faceva i climi, le stagioni: e l'estate fu per un breve istante sopra la terra...