Le piattaforme di streaming, Netflix su tutte, hanno cambiato il modo di vedere una serie televisiva, cambiando anche, di conseguenza, le modalità produttive delle serie stesse.

Ci siamo abituati a poter vedere una serie intera in pochi giorni, trasformando spesso le serie in lunghi film, abbandonando il senso antologico della raccolta di racconti con protagonisti sempre identici a favore dell’ampio respiro del romanzo che permette l’approfondimento dei personaggi e lo sviluppo di trame a sottotrame che sostengono l’intera serie e/o stagione.

Tutta questa premessa serve per poter fare qualche considerazione su nuove serie che potremmo definire “new tricks for old dogs”, come la recente Star Trek: Picard, in streaming su Amazon Prime Video.

Patrick Stewart, come ha raccontato nell’incontro a Lucca Comics presso il Teatro del Giglio, ha subordinato la sua partecipazione al progetto alla possibilità di “dire qualcosa di nuovo” sul proprio personaggio verso il quale riteneva di “aver detto tutto”.

Michael Chabon, scrittore premio Pulitzer a appassionato trekker, è riuscito a interessarlo al progetto e ad ottenerne la partecipazione offrendogli quello che Setwart ha definito un nuovo Picard in un nuovo mondo.

Ora che siamo più o meno a metà della serie possiamo provare a individuare le tematiche che sono state messe in gioco.

Il primo argomento è quello della salvezza/accoglienza dei rifugiati ex nemici (Romulani) e il tema dell’accettazione/paura/pogrom del diverso torna anche con la messa al bando dei sintetici.

Il Picard che ritroviamo è un simpatico brontolone disilluso rifugiato nella sua tenuta ma che, come tutti i capitani delle serie trek, morde il freno mantenendo una pace armata con se stesso e con la Federazione, verso la quale finirà per ribellarsi. Non è la prima volta che vediamo un capitano rivoltarsi verso i vertici della Federazione, però quando era Kirk a farlo si trattava della “testa calda” classica e insofferente all’autorità costituita, il cowboy spavaldo da tenere a freno.

Picard è diverso. Vederlo reagire contro la Federazione che lo ha relegato in un angolo, proprio lui, l’Ammiraglio icona della esplorazione, che ha partecipato alla guerra del Dominio, che è diventato leggenda per aver affrontato, senza mai abbandonare i concetti più “alti” del codice della Federazione, qualsiasi situazione e/o nemico (Borg, Romulani, Cardassiani,…) squarcia letteralmente il velo e mostra la Federazione come un organismo di governo militare, autoritario e poco incline al dialogo, del tutto diversa da quella che ricordavamo, o che forse pensavamo di ricordare.

Perché, ovviamente, la Federazione, quella ideata da Gene Roddenberry negli anni Sessanta e perfezionata dal 1987 al 1994 da Next Generation, era figlia di quei tempi, dell’aria che respiravamo, del desiderio di un mondo unito, accogliente, capace di superare le barriere per unirsi e camminare insieme. Quella di Star Trek: Picard, invece, è la Federazione di questi tempo, “figlia” di Trump, Putin, Erdogan, Xi Jinping, Merkel e Macron. È la Federazione di “America, Russia, Turkey, China, Germany, France FIRST”, di questo tempo di nazionalismi e populismi. Un tempo, tutto sommato buio e più simile all’universo di The Expanse. A queste premesse sono stati aggiornati anche il comportamento dei protagonisti, nonché il loro linguaggio sdoganando (sempre nei limiti) il turpiloquio, l’erotismo e, soprattutto, la violenza mostrata e usata dai protagonisti.

Passando più specificamente alla serie, superata l’emozione dei primi momenti, possiamo notare come la struttura degli episodi rientri nell’ottica di cui parlavamo all’inizio. Ogni episodio presenta un personaggio che andrà a costituire la Compagnia di Picard e ne esplora il background, mentre episodio dopo episodio prosegue il viaggio dell’Ammiraglio nel tentativo di svolgere la missione di salvataggio della sopravvissuta di due gemelle “sintetiche” ricavate dal tessuto neurale di Data.

Questo porta Picard a non essere sempre al centro della storia anche se ne resta il motore primario.

Il risultato è buono, intendiamoci, però anche “straniante”. L’impressione, fino a qui, è che si stiano gettando le basi per almeno una se non due nuove stagioni, e tutto questo rientra nella Nuova Stagione dei Serial. Di misteri ce ne sono tanti e riguardano i Romulani, i Borg e la stessa Federazione che sembrano tutti accomunati dall’intolleranza nei riguardi dei sintetici. Misteri che, speriamo, verranno almeno parzialmente risolti in questa serie.

Personalmente ho ritrovato negli episodi uno schema abbastanza comune: breve risoluzione del cliffhanger dell’episodio precedente, ampia introduzione nuovo personaggio, nuovo cliffhanger.

E se rimarremo fedeli e pazienti, di sicuro, riusciremo anche a capire cosa è successo ai vertici della Federazione.

Se ricordate anche in TNG ci fu un complotto da parte dei vertici della Federazione “posseduti” da organismi alieni. Questa volta non pare proprio che ce la caveremo con un escamotage così rassicurante. Siamo tutti ben consapevoli che il famoso IDIC (Infinite Diversità Infinite Combinazioni) al quale ci piaceva immaginare che la Terra avrebbe guardato, è bel lungi dall’essere raggiunto. Occupiamo questo pianeta insieme a persone che non condividono questi ideali di fratellanza e accoglienza: sono quelli che appoggiano quanti ci stanno governando e noi viviamo e lavoriamo accanto ad essi.

Nell’universo Trek dal 2026 al 2053 è avvenuta una guerra mondiale con la morte di seicento milioni di persone, iniziata a causa dei progetti di potenziamento del genoma umano. E nel 2063 c’è il primo volo di Cochrane con il motore a curvatura.

Dopo la grande sofferenza, una nuova alba.

Ovviamente noi speriamo che una guerra (o altri tipi di devastazione) siano ben lontani dal nostro futuro, ma una triste differenza ci sembra di vederla, rispetto al nostro mondo.

Star Trek, figlia degli anni Sessanta, guardava alle stelle, allo spazio, all’esplorazione. Desiderava conoscere e viaggiare, tendendo la mano e non le armi, sperando che la Strada tra le Stelle ci insegnasse ad essere migliori.

Noi stiamo appena cercando di ritornare sulla Luna, e vagamente pensiamo a Marte.

Ci siamo raggomitolati su questo pianeta e sui suoi problemi, lo stiamo sfruttando senza alcun rispetto e senza nemmeno immaginare in che modo il pianeta stesso potrebbe reagire al nostro arrogante modo di viverlo.

Dunque i problemi di Star Trek: Picard sono anche i nostri, ma la differenza è fondamentale.

Lui può viaggiare tra le stelle.

Noi siamo ancora intrappolati qui, e le stelle, forse, nemmeno le guardiamo più.