Questo scorcio di primavera del 2022 sembra una buona stagione per Star Trek e per i trekkers. Tre serie si passano il testimone della staffetta. Discovery è finita per prima, Star Trek: Picard è in svolgimento e a maggio inizierà Strange New Worlds, e se a questo aggiungiamo anche l’incognita di sapere come verrà rilasciata questa ultima possiamo dire che per i trekker italiani “c’è baruffa nell’aria” (parafrasando un antichissimo spot pubblicitario).

Bentornata Gunian.
Bentornata Gunian.

La seconda stagione di Picard (su Prime Video) recupera l’intero cast della prima, a partire dal suo protagonista che ha il volto di Patrick Stewart, e aggiunge due presenze storiche: la Guinan di Whoopy Goldberg e John de Lancie con il suo Q, e, con l’arrivo del quasi onnipotente giudice, ovviamente, troviamo Picard alle prese con l’ennesimo (ultimo?) esame, stavolta, apparentemente, non riguardante l’intera umanità, ma in particolar modo l’ammiraglio Picard.

Al timone della serie è rimasto Akiva Goldsman mentre Michael Chabon ha lasciato il posto a Terry Matalas, precedentemente segnalato come sceneggiatore in Star Trek Enterprise e che si è poi fatto le ossa con Terra Nova, Nikita e 12 Monkeys.

Nelle interviste di rito rilasciate dopo la messa in onda del primo episodio della seconda stagione, entrambi hanno tenuto a specificare che Picard va intesa come una maxiserie composta da tre stagioni le quali, pur se differenti nel loro impianto visivo, narrativo e tematico, alla fine si uniranno in una completa visione d’insieme.

Non dimentichiamo che questa, fino ad ora, è la prima serie Trek che non ha nel titolo un’astronave o un riferimento a una parte di essa (Lower Decks insegna) ma il nome di un personaggio. La frontiera da esplorare, il luogo dove mai nessuno è arrivato prima, stavolta è lo spazio interiore, secondo gli autori che addirittura dicono che nella seconda stagione è Picard a giudicare Picard stesso. Stiamo parlando dell’approfondimento del carattere e delle scelte che hanno portato Picard ad essere il capitano di punta di Starfleet, quello che veniva definito, perfino quando era stato trasformato in Locutus, “The Best Of Both Worlds.”

Nella prima stagione abbiamo visto il capitano dell’Enterprise affrontare i propri rimpianti e proiettarli specialmente nel proprio rapporto con Data, che veniva definitivamente risolto al termine della stagione stessa. La seconda, a sua volta, si apre con la constatazione di Picard di non riuscire a lasciarsi andare ad una relazione sentimentale. Già, a pensarci bene, il capitano non è mai riuscito a costruire delle relazioni durature, come mai?

Se lo sono chiesto, appunto, Goldsman e Matalas, e hanno puntato l’obiettivo della seconda stagione proprio sull’argomento specifico. Nel corso degli episodi della seconda serie si incontrano diversi personaggi femminili: Guinan, una antenata astronauta di Picard, Raffi, Seven e, soprattutto, Yvette Gessard, la mamma di Jan Luc, quella che lo spinge a guardare alle stelle e che inevitabilmente scopriremo essere quella che lo ferirà per prima, rendendolo forte e debole proprio nel gestire la più complessa emozione umana: l’amore.

L’amore è una scelta, sembra dire questa serie, non diversa da quella che ogni giorno un capitano è chiamato a fare sul ponte della propria astronave. Si basa sulla fiducia, sull’abbassare gli scudi e aprirsi al dialogo piuttosto che sparare una bordata di avvertimento.

Picard è chiamato a capire perché riesce ad essere un buon capitano, ma non un buon partner e per farlo Q lo provoca mostrandogli una linea temporale in cui lui stesso si è trasformato in un miscuglio dei peggiori dittatori assolutisti, razzisti e guerrafondai (dobbiamo tristemente notare che gli eventi della cronaca/storia di queste settimane, purtroppo, riescono a mostrarci qualcosa di molto simile e anche peggiore). Ed ecco che ci troviamo lanciati nel classico episodio “con il viaggio nel tempo”.

Sappiamo che gli episodi delle serie Trek sono stati classificati anche in relazione al tipo di trama che presentano, e quelli “con il viaggio nel tempo” sembra siano in assoluto i più divisivi per i trekkers, insomma: o si amano o si odiano. Identica sorte viene riservata anche ai film (Rotta Verso la Terra, Generazioni). La seconda stagione di Picard, nel bene e nel male, non viene meno a nessuno dei topoi del viaggio del tempo Trek: c’è la “manovra fionda”, il confronto con il passato con tutti gli equivoci e i problemi che sorgono e il cambiamento che questo provocherà in ciascuno dei personaggi. Il problema (se così vogliamo chiamarlo) è che il tutto non viene spalmato nei 50 minuti di un episodio (o due) o nel minutaggio di un film, ma in dieci episodi di una miniserie.

Quindi coloro ai quali non piace questo tipo di storia dovranno farsene una ragione. Lo sviluppo dei personaggi è comunque interessante, specialmente quello del capitano Rios e della dottoressa Jurati, non solo per il loro specifico rapporto interpersonale, ma anche per delle impalpabili impressioni che potrebbero far pensare anche ad un loro utilizzo al di fuori di questa serie.

Il primo episodio di questa stagione, con Rios in modalità Starfleet con sigaro spento in bocca alla Clint Eastwood seduto al comando di una Stargazer potenziata potrebbe essere qualcosa piacevole da rivedere, specialmente se sul ponte ci fosse anche la logorroica dottoressa Jurati a pungolarlo (anche se gli sviluppi della trama sembrano andare da tutt’altra parte).

Di fanservice ce n’è a profusione, innanzitutto ci sono i Borg, la loro subdola regina, poi Q e Guinan (in versione vecchia e anche in quella giovane e muscolosa) e i teschi dei peggiori nemici della Federazione accuratamente conservati dal sanguinario Picard versione Dittatore, fino a Brent Spiner che riesce a infilare il suo dottor Soong anche stavolta, mentre Isa Briones viene relegata al ruolo di una figlia/clone di Spiner sospendendo, per ora, la gestione del suo interessantissimo personaggio sintetico transumano Soji.

Anche Picard stesso (che possiede un corpo sintetico ricevuto alla fine della precedente stagione) appare molto più biologicamente incerto che solo un po’ sinteticamente potenziato.

Nessuno si aspettava di certo un powerplay di ultima generazione, ovviamente.

Apprezzabile anche l’escamotage con il quale Q decide di “invecchiare” per una incomprensibile gentilezza nei confronti di Picard.

“Il tempo è il fuoco in cui bruciamo” diceva Malcolm McDowell in Star Trek: Generazioni. Guardando come il tempo e le sue variazioni sono state fino ad ora usate da produttori e sceneggiatori in Star Trek Discovery e in Picard forse non aveva tutti i torti. Ma, come ben sappiamo, le serie Trek hanno bisogno che il tempo le faccia stagionare. E questa dedicata a Picard è forse la più sperimentale di tutte nonché, forse, la più difficile da scrivere.

The Next Generation è stata l’ultima serie prodotta da Gene Roddenberry, e ricordiamo bene quanto fu difficile abituarsi al nuovo equipaggio, mentre tutta la macchina produttiva usciva dal rodaggio, per regalarci poi storie e stagioni fondanti per quanto sarebbe arrivato dopo.

I produttori di Picard devono, ahiloro, fare i conti con QUEL ultimo episodio in due parti intitolato “All Good Things…” che mantiene tuttora intatto il pathos anche metanarrativo dell’addio reciproco di un equipaggio che si separa per sempre.

Ma, come dicevamo all’inizio, finita la seconda stagione di Picard, e in attesa della terza e conclusiva alla fine della quale rimandiamo ogni ulteriore giudizio, balzeremo indietro nel futuro dove in Strange New Worlds ci aspetta lei: l’Enterprise classe Constitution, con l’equipaggio di Pike, Spock, il Numero Uno e un giovane James Kirk. Una serie che viene presentata come antologica e che (almeno nel titolo) sembra voler recuperare la dimensione del viaggio e della scoperta nonché il fondamento dell’IDIC, ovvero quei concetti e quelle storie che hanno affascinato generazioni di spettatori e che, siamo convinti, possono trovare ancora nuove e attraenti modalità di narrazione per riportarci a fare Trekking tra le stelle.