Era l’autunno del 1981 quando su Telemontecarlo venne trasmesso un episodio di Star Trek TOS molto particolare. Era suddiviso in due parti, si intitolava L’Ammutinamento e raccontava una vicenda accaduta all’Enterprise prima che James T. Kirk si sedesse alla poltrona di comando.

Quelli di noi che stavano guardando la serie, si trovarono a fare i conti con un equipaggio diverso, eccetto l’unica costante rappresentata da Spock, e soprattutto, con un comandante diverso: Christopher Pike.

Dunque l’Enterprise non era stata assegnata a Kirk nuova di zecca, ma aveva già viaggiato, e agli ordini di un altro capitano, dall’aspetto classico del protagonista di una serie USA (l’attore Jeffrey Hunter) che molti di noi classificarono come un vero usurpatore.

A quarant’anni di distanza è nota a tutti la storia del vero primo episodio pilota di Star Trek, bocciato e riutilizzato per i due episodi de l’Ammutinamento e che poi abbiamo anche potuto vedere nella sua forma originale. Quello che a quarant’anni di distanza non avremmo facilmente immaginato è che da quell’episodio scartato potesse germogliare una nuova serie trek: Star Trek: Strange New Worlds.

La strada che ha portato alla nascita di questa serie parte da quel vecchio episodio, poi devia in una realtà alternativa, quella del cosiddetto universo Kelvin, ovvero la linea temporale alternativa dove JJ Abrams ha ambientato la nuova serie di film su Kirk, Spock, Mccoy e, attenzione attenzione, Pike che non solo viene presentato come il capitano della Enterprise, ma anche come una delle figure più carismatiche di Starfleet, nonché responsabile dell’arruolamento di un ribelle James T. Kirk.

Quando la Paramount ha deciso di reinvestire nelle serie Trek, dando luce verde a Star Trek: Discovery e a Star Trek: Picard, nonché alle serie animate Lower Decks e Prodigy, la risposta degli appassionati è stata positiva anche se non scevra da critiche, però, quando alla fine della prima stagione di Discovery, è comparsa sullo schermo la NCC1701 Enterprise nessuno è rimasto indifferente, poi sono arrivati il “terzo” Spock (e il terzo Sarek), Il capitano Pike e Una, il suo primo ufficiale, quindi Pike si è addirittura seduto al comando della Discovery, prima che l’astronave più atipica di Starfleet lasciasse definitivamente il periodo pre-Kirk per portare nel lontano futuro tutto il suo messianico contributo alla storia dell’Universo.

Per la maggior parte dei trekker vedere Pike, l’Enterprise e il suo equipaggio ha prodotto una sola reazione: “Sì, lo voglio!”

“Voi avete chiesto, noi abbiamo risposto.” Così hanno dichiarato Anson Mount, interprete di Pike e Rebecca Romjin Stamos, interprete di Una, all’annuncio dell’inizio della produzione di Strange New Worlds. E noi tutti, increduli, abbiamo iniziato ad aspettare (e temere).

Ufficialmente in Italia la serie arriverà a settembre insieme a Paramount+ (ci sarebbe tanto da dire, ma contro la stupidità gestionale nulla si può), ma è inutile fingere che i dieci episodi che costituiscono la prima serie sono tra i più scaricati e visti in Europa, dove Paramount+ è arrivata solo a giugno e in poche nazioni.

Finito il decimo episodio nella mia mente si è formata una sola domanda: “Ci voleva tanto?”

Non so voi, ma io mi ero convinto che ormai la nuova generazione di creativi non sapesse/volesse più scrivere storie Trek emozionanti, capaci di iniziare e finire compiutamente in un solo episodio, sviluppare personaggi attraverso dialoghi e situazioni funzionali ma non stiracchiate, essere rispettosi di quanto era stato narrato in TOS e del Sense Of Wonder che ci ha sempre affascinato in Star Trek. E invece no, ce l’hanno fatta. Ogni episodio regala la sua emozione, legata alla storia settimanale ma anche ai singoli membri dell’equipaggio. Ci sono almeno tre archi narrativi che interessano lo sviluppo di alcuni personaggi che prevedono segreti da rivelare e tutto questo viene gestito senza nessuna modalità Shondaland (chiedo scusa a quanti tra voi apprezzano la scrittura delle serie di Shonda Rhimes, una modalità che io trovo caotica e poco gratificante per lo spettatore dove si lavora solo al rialzo delle rivelazioni e dei colpi di scena dando il senso che la storia non chiuderà mai).

L’apparato visivo è imponente e deve molto alla visione di Abrams e del suo Kelvinverso, ovviamente crea il solito senso di straniamento tra una tecnologia più avanzata (quella di TOS) che sembra più vecchia e una più vecchia invece scintillante e futuristica, ma ci si passa sopra tranquillamente.

TOS, non dimentichiamolo, venne pensata come un misto tra le avventure dell’equipaggio di un sottomarino e quelle delle carovane che si spingevano verso il far West con al comando un capitano cowboy, un primo ufficiale diplomatico e cerebrale e un vecchio segaossa scozzese.

Ovviamente in Strange New Worlds la caratterizzazione dei personaggi è diversa, così come sono diversi loro stessi e i tempi in cui viviamo (e possiamo imparare qualcosa in più su Spock e i Vulcaniani riguardo i loro rituali di fidanzamento), però un pochino di quel senso puramente americano del “we are the best” sotto sotto c’è.

Ma, appunto, non sarebbe Star Trek se non venisse fuori che gli Umani sono portatori di un “qualcosa” di essenziale alla creazione della Federazione e al futuro sviluppo della Galassia.

Lasciatemi citare un film dove questo modo di pensare è esemplificato all’estremo: L’Ultimo Samurai, dove il personaggio di Tom Cruise alla fine risulta essere il samurai più samurai dell’intero Giappone.

Capisco (e condivido) che un tale approccio sia difficile da accettare, specialmente quando vengono fuori discorsi di Zona Neutrale e Guerra Eterna, guardando al conflitto in Ucraina e facendosi qualche domanda su chi, come, quando e perché l’abbia indotto. Ma non è questo il luogo per discutere di geopolitica.

La serie regala tante citazioni dell’intero mondo Trek: dai film originali di Kirk Spock e McCoy a specifici episodi di TOS, c’è (forse) una certa confusione sulle date astrali dei diari, ma aspetto con fiducia che qualcuno dotato di pazienza e precisione ne faccia una disamina. C’è (e lo ridico) lei: la Enterprise NCC 1701 (senza nessuna lettera dell’alfabeto) bella come non mai, scintillante e sfrontata, c’è una emozionante sigla di apertura, e c’è un diffuso senso solarpunk in tutta la serie. Ci sono nuovi personaggi che si guadagnano il nostro rispetto e affetto compreso Pike (spoiler se non avete visto Discovery), che ben consapevole di quando e come verrà ridotto a un rottame umano nel futuro sceglie ugualmente di vivere, sperando (forse) di riuscire a cambiare il proprio destino. E sul destino in bilico di un membro dell’equipaggio si chiude il decimo episodio in modo da stuzzicare l’appetito per la prossima stagione già in lavorazione.

E, sapete, la sensazione che lascia la visione di questa serie è quella di volerla rivedere da capo, una sensazione che (e come sempre questo è un giudizio personale) non mi hanno lasciato né Discovery né Picard.

Quindi che la stiate vedendo o l’abbiate già vista oppure la stiate aspettando con Paramount+ sappiate che per un vecchio trekker come me Strange New Worlds significa solo: Star Trek è tornato, finalmente.