Quando si parla del futuro, gli scenari possibili che vengono presentati sono sostanzialmente due: uno di tipo apocalittico, che predice l’imminente collasso della civiltà, ormai giunta ai limiti del suo sviluppo (vedi capitolo 1); uno di tipo utopistico, secondo il quale l’umanità è alle soglie di un cambiamento epocale che ne migliorerà radicalmente l’avvenire. Quest’ultimo scenario è generalmente sostenuto dai teorici del postumanesimo (o transumanesimo), per i quali la velocità sempre più forsennata dei cambiamenti scientifici e tecnologici prelude a un salto di qualità per la razza umana, che ne uscirà completamente trasformata. Questo “salto” è definito “singolarità” e tra i suoi principali sostenitori c’è il già citato Ray Kurzweil, il cui bestseller La singolarità è vicina apparve in Italia nel 2008. Ma quanto vicina è davvero questa singolarità?

Finora, il progresso tecnologico – che pure ha assunto ritmi sempre più frenetici – non ha modificato l’essenza della nostra umanità. La paura atavica che molti di noi hanno per gli aerei, per esempio, ne è una dimostrazione: mentre la tecnologia si è evoluta permettendoci di volare, il nostro cervello è rimasto uguale a quello dei primi esemplari del genere Homo sapiens; è rimasto fermo cioè a circa centomila anni fa. Un cavernicolo a bordo di un aereo sarebbe terrorizzato. E noi non siamo molto diversi da quel cavernicolo, anzi a livello biologico non è cambiato nulla. Tuttavia, di recente qualcosa sta cambiando. La decodifica del genoma umano, il potenziamento dell’ingegneria genetica e la scoperta dell’epigenetica suggerisce che presto l’evoluzione tecnologica potrà accelerare anche la nostra evoluzione biologica.

L’umanità che ne emergerebbe sarebbe, di sicuro, una post-umanità, radicalmente diversa da quella attuale, così come il genere Homo era del tutto diverso dagli ominidi suoi antenati. Ma la possibilità di predire come sarà la post-umanità è molto scarsa. Per questo i sostenitori di questo scenario parlano di una “singolarità”. Nel linguaggio della fisica, una singolarità è un punto dello spazio-tempo in cui tutte le leggi note della fisica vengono meno, e non è possibile prevedere o spiegare ciò che avviene in esso e oltre di esso. Sia il Big Bang che i buchi neri costituiscono delle singolarità. Analogamente, mentre oggi siamo ancora in grado di prevedere vagamente i futuri sviluppi tecnologici (intelligenze artificiali, auto più ecologiche, aerei più veloci e così via), c’è un momento nel prossimo futuro in cui tutte le nostre previsioni vengono meno. È il momento della “singolarità”, oltre il quale quello che verrà sarà completamente diverso da qualsiasi cosa possiamo immaginare.

Per la verità, parlare di “singolarità” in questo contesto è un po’ un’esagerazione. Di singolarità, a ben pensarci, ce ne sono già state molte negli ultimi anni. La più notevole è quella costituita da Internet: anche se il computer era l’inevitabile prodotto dell’evoluzione delle prime macchine calcolatrici, Internet ha costituito una novità imprevedibile e imprevista, così come tutte le applicazioni che successivamente ha sfornato, dai motori di ricerca ai contenuti wiki fino ai social network, e oltre. Nessun futurologo, trent’anni fa, sarebbe stato capace di immaginare tutto questo. Se allora è giusto parlare di singolarità, forse l’abbiamo già superata. Eppure, i teorici del postumanesimo non ne sono convinti. A loro dire, Internet e i computer rappresentano solo delle protesi, degli strumenti di cui ci serviamo, una semplice evoluzione degli utensili in bronzo che impiegavano i nostri antenati. La vera singolarità emerge quando la tecnologia diventa capace di trasformare non lo strumento, ma il suo utilizzatore: l’uomo. La civiltà postumana (o transumana) sarebbe allora capace di memorizzare enormi terabyte di dati in un hard disk virtuale all’interno del cervello, di connettersi alla Rete attraverso il battito delle ciglia (o magari sarebbe sempre connesso), di usufruire di metodi per fare a meno del sonno per giorni interi, di impiegare tecniche genetiche per potenziare il proprio corpo.

L’ambito di ricerca più promettente che potrebbe realizzare questi obiettivi è quello della nanotecnologia. La crescente miniaturizzazione permetterà di innestare nel nostro organismo sistemi cibernetici quasi invisibili, che faranno di noi dei cyborg: non come quelli dipinti da certa ormai vecchia fantascienza, in cui protesti di metallo sostituiscono rozzamente parti organiche del nostro corpo. Da fuori saremo identici a come siamo oggi, ma dentro saremo una perfetta fusione tra naturale e artificiale. Kurzweil aveva inizialmente previsto nel 2045 la data indicativa per la singolarità. Oggi anticipa addirittura alla fine del decennio 2020 il cambiamento epocale. Per allora, a suo dire, i computer avranno superato l’uomo in capacità di calcolo e intelligenza artificiale. Per evitare di affidare ai computer il futuro della Terra, non potremo far altro che integrarli con i nostri organismi. E allora, da qui alla fine del secolo, potrebbe nascere davvero una postumanità: capace di immagazzinare tutti i dati del cervello in un hard disk trasferibile in un nuovo corpo, magari lo stesso ma più giovane, prodotto per clonazione. E dopo un necessario back-up, la nostra immortalità sarà garantita.