Il ruolo di Marissa nel programma genetico che ha creato Hanna la inquadra come una donna che abusa dei suoi poteri sulla vita rendendo la riproduzione qualcosa di autonomo dall'intervento degli uomini, che si fa in laboratorio grazie ad asettici scienziati in camice bianco, alle nuove tecnologie riproduttive e alla manipolazione del DNA.
In Hanna lo scontro è tra due donne che rappresentano due modi diversi di concepire il femminile: una rappresenta il femminismo mostruoso che vuole avere il controllo sulla riproduzione, l'altra invece deve vendicare la crisi d'identità provocata negli uomini dal potere delle nuove donne, e con la violenza deve ristabilire l'ordine nella società patriarcale e fare giustizia. Hanna è l'eroina che salva la società patriarcale dalla minaccia disgregatrice del femminismo. Soprattutto bisogna capire che l'unico modo di distruggere una femminista è usare una figlia adolescente che indottrinata e addestrata fin dalla nascita è ciecamente obbediente (anche se verso la fine del film possiamo vedere in lei la scintilla dell'autonomia che inizia a prendere piede). Come dire: l'unica eroina buona è quella che non pensa con la sua testa. Ma Hanna potrà mai trarre qualche beneficio da questo suo ruolo di guerriera protettrice dello status quo? Che ne è di Hanna dopo aver ucciso la sua nemica? Rientrerà nella società? Tutti intorno a lei sono morti: la madre, la nonna, la sua nemica, l'uomo che l'ha cresciuta ma che in realtà non era suo padre. A che cosa l'ha portata la sua forza e il suo addestramento alla violenza? Il personaggio forse alla fine può dirsi veramente indipendente, ma a quale prezzo e ne è valsa la pena?
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