Si rimise faticosamente in piedi, e si rese conto di non essere solo. Un drappello di toseviti lo aveva circondato. La canna di numerosi fucili era già puntata su di lui.

Pshing riconobbe le divise e i gradi della Wehrmacht. Fece appello alla sua scarsa conoscenza della lingua Deutsche e strillò: - Non sparate, toseviti! Mi arrendo!

I Grossi Brutti gli tolsero le armi e l'equipaggiamento, gli legarono le mani dietro la schiena e lo caricarono su un autocarro male in arnese, che si mise in moto lungo una strada che aveva l'aria di essere stata appena bombardata. Pshing non tentò di fuggire lungo il trasporto. Le ossa gli dolevano ancora per il brusco atterraggio, e comunque dubitava di poter mettere fuori combattimento a mani nude anche uno solo dei Grossi Brutti che lo sorvegliavano: come tutti i maschi della Razza, non solo era imbranato e sfigatissimo, ma aveva anche un fisico alla Woody Allen dopo la malattia.

Finalmente il camion si arrestò. Pshing fu fatto scendere e condotto all'ingresso di un recinto di filo spinato intervallato da torrette di guardia. Il cartello che pendeva sull'ingresso recitava "Stalag 17" negli sgraziati caratteri toseviti. Il drappello dei suoi catturatori consegnò Pshing a un corpulento sottufficiale dall'aria non troppo sveglia e ripartì.

- Sono il sergente Schultz. - si presentò il sottufficiale - Seguimi.

Pshing si lasciò condurre docilmente verso l'ufficio del comandante del campo. Schultz bussò alla porta e attese rispettosamente l'avanti. Poi spinse il rettile oltre la soglia ed entrò a sua volta.

In piedi dietro una scrivania lucidata specchio, un uomo in impeccabile divisa nera stava suonando un violino. Portava un monocolo all'occhio destro ed era calvo come un missile aria-aria.

- Colonnello Klink? - azzardò il sergente - Posso disturbarla, signore?

- Ah, quale grande artista incompreso si cela in me, Schultz! - sospirò l'altro - Che diavolo vuoi?

Il sergente scattò sull'attenti. - Abbiamo un nuovo prigioniero, herr colonnell!

L'uomo col monocolo mosse l'archetto del violino come se scacciasse un insetto molesto. - Non farmi perdere tempo con queste sciocchezze, Schultz! Portalo alle baracche e chiudilo con gli altri.

- Ma, herr colonnell, signore... lui è...

- Non mi hai sentito, Schultz? - ringhiò l'alto ufficiale.

Il sergente si irrigidì, fece sbattere i tacchi degli stivali e condusse Pshing fuori dall'ufficio. Senza una parola, gli fece percorrere il perimetro del campo, attraversare due sbarramenti di filo spinato presidiato da pastori alsaziani, e infine lo fece fermare davanti a una lunga baracca di legno dal tetto spiovente e dai comignoli fumanti.

- Entra, bitte! - ingiunse.

Pshing obbedì, e si ritrovò in un ambiente riscaldato ed arredato in maniera singolare. Tappeti, stampe alle pareti, tavolini, poltrone, persino una radio che suonava charleston... L'insieme era incredibilmente confortevole, in straordinario contrasto con l'esterno.

Un paio di uomini in divisa della RAF stavano sorseggiando un tè in tazzine di porcellana con aria signorilmente rilassata. Uno di loro si alzò con calma e gli tese la mano.

- Benvenuto. - disse - Io sono il colonnello Robert Hogan.

Il muso del caccia, dipinto a guisa della dentatura di uno squalo, rimbalzò più volte sulla pista prima di arrestarsi. Senza aspettare che l'elica smettesse di girare, il pilota balzò fuori dall'abitacolo con aria di chi non vede l'ora di menare le mani. Indossava una divisa da aviatore con un colletto di pelliccia e una calottina di pelle abbottonata sotto il mento, stringeva un mozzicone di sigaro tra i denti, aveva sopracciglia cespugliose e occhi porcini atteggiati in un'espressione truce che avrebbe fatto la felicità di uno psichiatra esperto in paranoie e manie di persecuzione.

L'uomo lanciò ferocemente uno sguardo a destra, poi a sinistra, infine attraversò la pista e spalancò vigorosamente la porta dell'alloggio piloti.

- E' tornato il matto. - commentò distrattamente un uomo sdraiato su una branda.

- Lo chiamano Wild Bill, vero? - sussurrò un altro.

- Veramente è lui che si fa chiamare così. - precisò il primo. Poi alzò la voce - Come va, Kelso?

Il nuovo arrivato digrignò i denti, facendo a pezzi il mozzicone. - Li ho visti! - grugnì - Volavano verso Hollywood.

- Chi?

- I jet dei rettili! Erano almeno una dozzina! Bisogna affrontarli! Chi viene con me?

I due piloti si scambiarono un'occhiata con l'aria di chi la sa lunga.

- Sei sicuro, Kelso?

- Non sarà come l'altra volta?

- Sì, ricordi quando credevi di aver visto Toshiro Mifune in mezzo all'oceano, e andavi in giro gridando che i giapponesi ci invadevano?

Kelso li fulminò con uno sguardo da delirio psicopatologico. - Vi dico che li ho visti. - ringhiò.

Uno dei due uomini fece cenno all'apparecchio radiofonico, che trasmetteva previsioni del tempo sulla costa. - Ma la radio non ne parla...

Senza mutare espressione, Kelso estrasse la pistola e sparò all'apparecchio, zittendolo.

- Mente. - commentò, glaciale - La radio mente.

Quando era stato nominato governatore militare, Tomasll si era ritenuto fortunato: la città tosevita designata come suo Quartier Generale godeva di un clima assolutamente tollerabile, specie se rapportato alle mostruose condizioni del resto del pianeta; inoltre, tutta la regione a lui assegnata, parte di una penisola nel sud del continente che i Grossi Brutti chiamavano Europa, era ormai quasi del tutto pacificata. I toseviti locali si erano arresi nel giro di poche ore dallo sbarco della Razza, e Tomasll aveva potuto completare la disposizione della guarnigione senza perdere un solo maschio.

Da qualche tempo, però, il governatore si stava ricredendo sulla sua fortuna. Il signore di flotta Atvar gli aveva chiesto di mettere in piedi una produzione industriale di materiale bellico utilizzando manodopera tosevita, e questo sembrava molto, molto più difficile del previsto.

- Che significa "i laminati d'acciaio sono spariti"? - sbraitò all'indirizzo dei suoi subordinati.

- Non lo sappiamo, signor superiore. Il carico è giunto ieri sera, ma stamattina era scomparso.

- Non c'era un sistema di sorveglianza?

- Certamente, signor superiore. Laser e sensori, forniti appositamente dalla nave Imperatore Hetto 43.

- E allora?

- Spariti anche quelli, signor superiore.

Tomasll spalancò il becco, incredulo. Poi scosse la testa. - Avete interrogato le maestranze tosevite?

- Dicono di non saperne nulla, signor superiore.