- Perchè anzichè parlare non sta più attenta a come guida? - borbottò una testa da colonnello in pensione.

Lei sbirciò nello specchietto e replicò senza guardare l'interlocutore. - E perchè lei anzichè a me e mio marito le scatole non le rompe all'Azienda, per ottenere un autobus che abbia un rapporto di parentela con un autobus anziché con una scatola di biscotti? - L'altro era un cittadino particolarmente indignato e conscio dei propri diritti, perchè non si accontentò di questa risposta e replicò. Francesca aveva i nervi a fior di pelle e anziché imporgli la sua silenziosa superiorità gli spiegò in termini poco ortodossi, ma precisi alla pignoleria, dove andare e con quali mezzi arrivarci.

Non parlammo più, ma lei ogni tanto trovò il modo di lanciarmi una di quelle sue occhiate piene di conforto.

Dal fondo venne una voce abbastanza disperata da riuscire a coprire per un po' il parlottio generale: - So' giovane ma 'n c'ho gnente da magnà... C'ho moje e tre fiji. So' disposto a fa' tutto, anche pe' poche ore.

Una scena fin troppo normale. Anche io lo avevo fatto un paio di volte, appena laureato, quando le cose andavano peggio. Ma io offrivo ripetizioni, era diverso.

Alla stazione il turbotreno ancora non era stato formato. Da un manifesto nuovissimo incollato su un merci, un militare mi puntava il dito contro. Qualcuno avrebbe dovuto insegnargli almeno i primi rudimenti dell'educazione: "Se non hai lavoro, cerchi sicurezza, amicizia, equilibrio mentale, vieni con noi. La Marina Italiana ti attende. Arruolamenti da dieci, quindici, venti anni. Marina è bello!"

Finamente un'anima buona con il senso della pudicizia e del decoro diede il via al convoglio, togliendomi quell'obbrobrio dalla vista. Il turbotreno con brutali strappi decise di farci la grazia di partire, togliendoci dalle immondizie puzzolenti sparpagliate lungo i binari e dall'odore delle traversine incatramate. Faticò a uscire da Roma. Ai lati della monorotaia casermoni di cemento triste, scrostato e annerito dall'inquinamento. Raramente volava dietro il finestrino un rachitico alberello chiuso nella sua gabbietta antidanneggiamento, intestardito nella masochistica voglia di sopravvivenza a ogni costo. Poi la periferia, e si passò alle baracche e ai campi di demolizione. Ettari coltivati a lavatrici e frigoriferi, testimoni di una trascorsa era di consumi di massa. Raramente, sulla cima di una catasta di rottami, più per insegna che per altro, la solitaria carcassa di una autovettura sgangherata.

* * *

Uscimmo da Ferrara. Ero sicuro che Serra si fosse inventato tutto ma continuai a seguirlo, in fin dei conti mi aveva anche pagato il treno. E poi, andandogli dietro avrei potuto dimostrargli che aveva torto, che quanto diceva non era vero, non poteva esserlo. Era meglio che gli fossi vicino al momento della verità, non volevo lasciarlo solo. Non con quelle idee in testa.

Lungo la strada fiancheggiammo una parata di cartelloni pubblicitari di orologi d'oro e costosi profumi. La carta dei manifesti pareva lacera e scolorita. Anche i miti sociali sembravano in lento ma inesorabile disfacimento, come il resto. Così doveva essere. Loro non avevano più diritto di noi alla sopravvivenza. Alla fine dei manifesti girammo, e fummo al cancello. Solido, di quelli che ispirano reverenza e fiducia nelle istituzioni: Ministero Agricoltura e Foreste, Stazione Sperimentale. Ingresso vietato.

Non si capiva dove fossero le foreste che il ministero doveva amministrare. Serra si guardò intorno e armeggiò con un cartellone effigiante una costosissima donna vestita solo di poche gocce di profumo. Ne tolse un riquadro precedentemente segato. La cosa stava andando oltre le mie previsioni. Pensavo che saremmo arrivati a un prato, o a un magazzino abbandonato, dove avrebbe borbottato piuttosto sconnessamente che avevano fatto sparire tutto. Invece infilò la testa nel foro e fece segno di seguirlo. Non mi mossi. Qualsiasi cosa contenesse, questa era un'installazione governativa e introdursi era reato, il più ripugnante per la magistratura.