Uno dei miei idoli

Io ho avuto idoli. Li ho avuti negli anni di formazione, gli anni di gioventù; e sono rimasti con me per lungo tempo. Compiango chiunque non ne abbia mai avuti. L'idolo è la coperta di sicurezza di Linus, l'assicurazione di un mondo migliore. La garanzia che qualcosa cambierà, e cambierà nel senso che vuoi tu, comunque (o a prescindere, come avrebbe detto il principe Antonio de Curtis, in arte Totò, mio nume tutelare). Poi il tempo passa, uno invecchia, e le cose cambiano, sì; ma il senso, il percorso, la direzione degli eventi restano ciò che erano. E gli idoli fungono da pietre miliari.

La loro intangibilità è sacra. Essi sono, per definizione, superiori alle più basse necessità umane, e quindi non mangiano, non bevono, non fanno la pipì. Quando a me è accaduto di trovarmi a pisciare (era, per la cronaca, la fine degli anni Settanta, e il fatto accadeva in un celeberrimo hotel di Palermo) fianco a fianco con uno dei miei idoli, lo scrittore inglese Brian Aldiss, mi sono sentito venire meno. Ero appena trentenne, e quindi ingenuo, fiducioso; ma se il mondo dei semidèi mi si palesava col membro in mano in una ridente toilette d'albergo, che altro potevo aspettarmi?

Fossi stato più furbo, o più scafato, avrei capito subito che di tutto ci si può aspettare, da queste incarnazioni del desiderio intellettuale e/o emotivo che la mente gonfia sino a farne creature sovrumane: il meglio e il peggio, con le possibili sfumature intermedie, di cui la nostra specie è capace. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel remoto 1978, e di idoli miei personali ne ho conosciuti diversi nel frattempo, e di alcuni sono diventato amico; e se da un lato restano esseri superiori a me, dall'altro sono anche comunissimi uomini coi quali mi capita di mangiare, bere, ridere, passeggiare.

Com'è accaduto con l'amico/idolo che è morto il 4 novembre a Roma, a settantadue anni, Antonio Margheriti, il regista di tanti film fantastici che per qualche giorno è passato come una deliziosa meteora nella mia vita.

Alla metà degli anni Sessanta, quando facevo le fanzines con Luigi Naviglio, abitavo a Calendasco, un paese della bassa padana. Alla mattina prendevo la corriera per andare a scuola a Piacenza, dove frequentavo il liceo classico. Calendasco distava una ventina di chilometri dalla città, e un cinematografo non c'era. Ne esisteva invece uno a San Nicolò, altro paese (che ormai è stato inglobato da Piacenza, è diventato una sorta di periferia autonoma) a cinque o sei chilometri da casa mia. Il bello del cinema di San Nicolò era che, nelle due proiezioni settimanali, si concedeva scelte molto eclettiche; e la cosa migliore in assoluto era che alla cassa nessuno badava al tristo divieto ai minori di diciotto anni. Entravano tutti. Fosse giusto o sbagliato, non lo so, e non me ne frega niente. Di certo sono grato ai gestori dell'indimenticabile Jolly, che esiste ancora oggi ma si chiama Jolly2 e fa cinema d'éssai, di avermi permesso l'ingresso quando non avevo l'età. Dovevano essere spiriti anarchici.

Siccome all'epoca ero sui sedici anni, quindi non munito di patente, e le proiezioni erano rigorosamente serali, cosa facevo? Dopo cena inforcavo la mia fida bicicletta rossa col cambio a tre marce (discesa, pianura, salita) e partivo. Tenete presente che tra Calendasco e San Nicolò è tutta campagna: una strada asfaltata, okay, ma buia, senza lampioni, con campi piatti che si stendono ai lati. La più squallida delle desolazioni, a mio giudizio, ma c'è anche tanta gente che la apprezza. Questione di gusti. In ogni caso, il punto è che io pedalavo nel buio più fitto, con la via rischiarata solo dalla luce stiticuzza del fanale della bici; e cosa andavo a vedere? Ovvio, i più turpi, inquietanti, innervosenti film dell'orrore vietati ai minori... Il risultato era che ogni volta, al ritorno, pedalavo come un matto continuando a guardarmi attorno e indietro, sicuro di essere inseguito da creature innominabili, quelle che avevo appena visto sullo schermo e i loro degni compari. Le letture di quei giorni servivano solo ad aumentare le palpitazioni. Rientravo a casa fradicio di sudore; e magari mi è anche capitato di stabilire qualche modesto record di velocità, per quanto la cosa non rivestisse per me il minimo interesse. Da piccolo ho sempre avuto questa maledetta/benedetta tendenza a terrorizzarmi con libri, film e idee di mia creazione: era una delle cose che più amavo, ed è una capacità che purtroppo ho perso. Oggi è difficile spaventarmi. Invidio i bambini, i ragazzi che cominciano solo ora ad affacciarsi sul rutilante universo dell'immaginario dell'orrore. Ci sono passato attraverso e conosco tutte le strade, le scorciatoie, le viste panoramiche. Coltivo ancora il piacere, però col distacco (non voluto, anzi indesiderato, ma tant'è) di chi troppo ha visto e troppo ha letto. Mi occorrerebbe un bel lavaggio totale dei ricordi.