Negli ultimi anni, alle catastrofi ambientaliste se ne sono aggiunte altre di diverso tipo. La sindrome apocalittica diffusa dalle mitologie contemporanee sulla profezia Maya del 21 dicembre 2012 dà vita a una proliferazione di film dal tono messianico, come Segnali dal futuro di Alex Proyas e 2012 di Roland Emmerich, entrambi usciti nel 2009. In America prende piene negli ultimi anni il fenomeno della zombie apocalypse, al punto che lo stesso esercito americano finisce per chiamare così le esercitazioni che riguardano scenari imprevedibili capaci di minacciare la sicurezza nazionale. Il fenomeno della serie televisiva The Walking Dead si accompagna alla prossima uscita, a giugno, di World War Z (dove la “Z” sta, ovviamente, per zombie), trasposizione cinematografica dell’omonimo bestseller di Max Brooks, già noto per il suo precedente Manuale per sopravvivere agli zombie. Un precursore di questa moda può essere considerato l’I Am Legend di Francis Lawrence, uscito nel 2007, riproposizione cinematografica del romanzo di Richard Matheson: la trasformazione dell’umanità in terribili zombie, diversi rispetto agli originali vampiri del romanzo, è il prodotto di un vaccino antitumorale dagli effetti collaterali imprevisti, che ben presto stermina l’intera civiltà. Oblivion presenta un futuro distopico molto più sofisticato e rarefatto, ma ugualmente spaventoso. La fantascienza sembra cominciare ad abbandonare la deriva splatter del proprio filone apocalittico, ma non la propria passione per scenari futuristici invariabilmente improntati al pessimismo. Si passa dal catastrofismo puro e semplice alla distopia più vicina alla fantascienza letteraria degli anni ’70, come in In Time di Andrew Niccol, del 2012, in cui il mondo è diviso tra un proletariato che lotta ogni giorno con la morte e un élite quasi immortale dal momento che il tempo è diventato la nuova moneta corrente al posto del denaro. L’incubo di queste speculazioni è molto più patinato, ma se possibile anche più spaventoso. Ancora Niccol, che non ha mai nascosto la sua passione per le storie distopiche, evidente già dal suo esordio con Gattaca, traspone al cinema il romanzo The Host di Stephenie Meyer, più nota per la sua saga di Twilight. Il punto di partenza è lo stesso di un classico come L’invasione degli ultracorpi: esseri alieni si sono impossessati dei corpi degli esseri umani, sostituendosi alle loro personalità. La cosa ha i suoi lati positivi, perché la nuova umanità controllata dagli alieni è pacifica e razionale, in grado di risolvere tutti i mali della Terra, dalle guerre alla fame nel mondo. Ma il risultato è un’umanità
<i>L'invasione degli ultracorpi</i>
L'invasione degli ultracorpi
anestetizzata, priva dei suoi connotati, se possibile più spaventosa degli zombie riproposti dai nuovi B-movie a stelle e strisce, per quanto, seguendo la stessa filosofia di Twilight, gli “ospiti” di The Host appaiono glamour e affascinanti. L’autore dell’articolo su Time guarda con apprensione anche alla svolta dark dell’ultimo Star Trek. A giudicare dal trailer, Into Darkness è un colpo durissimo al futuro utopico della serie di Roddenberry, benché radicalmente stravolta da J.J. Abrams. Sebbene la Federazione se la sia vista brutta già altre volte, in Into Darkness sembra affrontare il suo momento più buio sotto i colpi di un folle terrorista che semina la distruzione sulla Terra. “Un tale pessimismo e attrazione per le distopie future risale di fatto alla fantascienza mainstream degli anni Settanta e Ottanta, quando la cultura pop si trovò a fare i conti con una generale disillusione”, ragiona McMillan nell’articolo “Certo, all’epoca, c’era molto per cui essere disillusi: l’ottimismo e la speranza dei tardi anni Sessanta erano stati spazzati via nel momento in cui il sogno hippie di una nuova età dell’Acquario si trovò faccia a faccia con una realtà fatta di guerre impopolari, rivolte per i diritti civili e mille nuove ragioni per essere sospettosi e delusi nei confronti dell’autorità, perciò non è affatto una sorpresa che il futuro cominciasse a diventare un posto più cupo e meno invitante”. Ma che dire della fantascienza di oggi? La conclusione dell’autore lascia ampio spazio al dibattito degli appassionati: “Il problema è che la fantascienza sembra essere giunta a un punto morto di disperazione. È difficile ricordare l’ultimo progetto di fantascienza che non includesse un abbonante pizzico di cinismo e di arrendevolezza al suo interno, e ciò mi sembra un fallimento dell’intero genere. La fantascienza si basa sull’immaginare il nuovo e l’inimmaginabile, certo. Ma se non riusciamo a immaginare un mondo che non sia un macello a causa di quello che abbiamo fatto, non dovremo sforzarci di più?”.