Il 4 ottobre 1957, l’Unione Sovietica lanciò in orbita un satellite, lo Sputnik. Quest’evento segnò l'inizio dell'era spaziale e diede idealmente il via alla corsa allo spazio tra l'allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) e gli Stati Uniti d'America (USA). Lo Sputnik, che in russo significa “compagno di viaggio”, era stato lanciato dalla base missilistica di Bajkonur, Kazakistan, a bordo di un razzo, il vettore R-7 “Semërka”. Il satellite era fatto di una lega di alluminio, aveva una forma sferica su cui erano poste 4 antenne. Al suo interno vi erano state installate due trasmittenti, delle batterie e un termometro. Emetteva un semplice suono, un bip bip, che venne captato dai radioamatori di tutto il mondo nei successivi giorni.

L’evento fu un vero e proprio shock per gli americani e per il resto del mondo. Il governo americano e gli scienziati erano al corrente che i sovietici stavano sviluppando un razzo per portare un satellite in orbita, ma la sorpresa fu comunque enorme e rese evidente che erano indietro con il loro programma spaziale.

Lo shock per il mondo fu ancora più grande, quando il 3 novembre 1957, alle 2:30, venne lanciata dai sovietici una capsula dalla base di Bajkonur con a bordo Laika, una cagnolina. La capsula pesava in tutto 18 chili, a cui si dovevano aggiungere i 6 chili di peso della cagnolina, ed era larga 80 centimetri. L'interno era imbottito, ma c'era abbastanza spazio affinché Laika potesse stare sdraiata o in piedi. Veniva nutrita con delle gelatine e tutti i suoi parametri vitali continuamente monitorati, tra cui la pressione sanguigna, la frequenza respiratoria e le pulsazioni cardiache. Laika sarebbe dovuta restare in orbita per otto giorni, ma in realtà solo dopo poche ore dal raggiungimento dell'orbita terrestre, esattamente dopo 9 orbite complete, la temperatura all'interno della capsula cominciò a salire vertiginosamente. La causa più probabile era che la capsula non era sufficientemente isolata dai raggi solari. La povera cagnolina, in poche ore, morì per disidratazione e surriscaldamento.

Gli americani dovettero correre ai ripari e venne dato via libera al gruppo di scienziati tedeschi capitanati dallo scienziato tedesco Wernher von Braun, che si sera consegnato ai soldati americani alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Von Braun migliorò il suo razzo V2, che nel corso della guerra mondiale era stato usato dai nazisti per bombardare Londra, e riuscì a mettere in orbita il 31 gennaio del 1958, l'Explorer 1, il primo satellite americano.

Un anno più tardi, l’amministrazione americana promuove il programma spaziale Mercury, il cui obiettivo è portare il primo americano in orbita. C'erano tre cose da fare: scegliere i futuri astronauti, costruire una capsula e realizzare il razzo vettore che avrebbe portato il primo americano in orbita. Le selezioni per i primi astronauti erano partite all'inizio del 1959: si cercava un pilota militare con meno di 40 anni e 1.500 ore di volo. Dei 110 candidati, ne vennero selezionati 7: il Tenente Malcolm Scott Carpenter, il Capitano LeRoy Gordon Cooper Jr., il Tenente Colonnello John Glenn Jr., il Tenente Colonnello Virgil “Gus” Grissom, il Tenente Comandante Walter Marty Schirra Jr., il Tenente Comandante Alan Bartlett Shepard Jr. e il Capitano Donald Kent Slayton. Solo quest'ultimo fu costretto a non prendere parte ad una delle missioni Mercury per problemi riscontrati al cuore. Il 9 aprile del 1959 furono annunciati i loro nomi e così anche l'America aveva i suoi uomini dello spazio, i cosiddetti Mercury Seven. Cominciò così una rincorsa, gli americani volevano essere i primi a portare un uomo in orbita, ma proprio quando l’obiettivo sembrava ormai prossimo, furono nuovamente battuti dai sovietici.

Il 12 aprile 1961, il 27enne Jurij Gagarin è il primo uomo ad andare nello spazio, più precisamente in orbita. Il suo viaggio è reso possibile dal razzo intercontinentale R-7 che, con la capsula Vostok 1, portò il cosmonauta in orbita terrestre in soli 9 minuti. La Vostok viaggiava a una velocità di 27400 chilometri orari e la massima altitudine raggiunta fu di 302 chilometri, mentre la minima di 175. Per tutta la durata della missione, quattro stazioni radio trasmisero musica intervallata ogni 30 secondi da un messaggio on codice morse. Questo per permettere a Gagarin di scegliere la migliore frequenza radio con cui comunicare. Una volta in orbita, il cosmonauta sovietico fu il primo a guardare la Terra è la descrisse con queste parole: “Mi sento bene, il volo procede ottimamente, la Terra è azzurra, vedo le nuvole: è bellissimo”.

Yuri Gagarin e Sergej Korolev
Yuri Gagarin e Sergej Korolev

Il successo dello Sputnik 1 e dell'iniziale supremazia dello spazio dei sovietici veniva da lontano. Si deve, infatti, guardare alle opere e al lavoro di Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij (17 settembre 1857 – 19 settembre 1935), uno scienziato autodidatta e divulgatore scientifico, riconosciuto a livello internazionale come il padre della moderna astronautica. Ciolkovskij pubblicò nel 1903 un libro dal titolo L’esplorazione dello Spazio cosmico per mezzo di motori a propulsione che è considerato il primo in cui s'ipotizza la realizzazione di un razzo il cui propellente era l'idrogeno e l'ossigeno liquidi. Lo scienziato russo, partendo dalla fisica alla base dei fuochi d'artificio, elabora un'equazione, che passerà alla storia come “Equazione del razzo o di Ciolkovskij”, con cui spiega che per la legge di conservazione della quantità di moto, un corpo può accelerare semplicemente espellendo parte della sua massa in senso opposto a quello in cui si vuole l'aumento della velocità. Tale equazione è, ancora oggi, alla base della missilistica.

Le teorie di Ciolkovskij, tuttavia, rimasero tali e si deve ad altri pionieri della missilistica il merito di aver portato l'Unione Sovietica avanti nel programma spaziale, almeno fino ad un certo punto. Il vero deus ex machina della missilistica sovietica è stato Sergej Korolëv, considerato da molti proprio colui che ha dato concreta realizzazione alle teorie di Ciolkovskij, insieme a Friedrich Arturovič Zander, un altro ingegnere sovietico e pioniere della missilistica. Korolëv era nato a Žytomyr, una città appartenente oggi all'Ucraina, il 12 gennaio 1907. Fin da piccolo era affascinato dal volo e dagli aerei, tanto da diventare un pilota. A soli 17 anni progetta il suo primo aliante, denominato K-5. Studia prima al Politecnico di Kiev e poi all'Università Tecnica Superiore di Mosca (MVTU), dove cominciò a sviluppare l'interesse per gli aerei con razzi a propulsione. Nel 1931, insieme a Friedrich Zander, fonda il Gruppo di studio sul moto a reazione (GIRD), una sorta di associazione dilettantistica. Nel 1933, Korolëv lanciò il primo razzo sovietico a propellente liquido, ideato e realizzato insieme a Zander, anche se quest'ultimo non poté assistere al lancio perché morì di tifo poco prima.Il 13 febbraio 1953 venne così approvato lo sviluppo di un razzo intercontinentale con una gittata di 7.000 km: si trattava del razzo R-7, che fu lanciato con successo il 21 agosto 1957. Successivamente, il 4 ottobre 1957, lo stesso razzo portò in orbita il primo satellite artificiale.

Il successo della missione del primo uomo in orbita, diede un impulso decisivo al programma spaziale sovietico. Dopo Gagarin, toccò a German Titov, il cosmonauta che era la riserva di Gagarin, ad avere il suo momento di gloria. A bordo della Vostok 2, il 6 agosto 1961 fu lanciato in orbita e vi rimase per 1 giorno, 1 ora e 17 minuti, compiendo 17 orbite complete. Per la prima volta la Terra ricevette immagini dalla navicella e vennero anche realizzati degli esperimenti relativi all'assenza di gravità.

Le missioni delle navicelle Vostok si susseguirono, fino a quando la Vostok 5, con a bordo il cosmonauta Fëdorovič Bykovskij si ritrovò in orbita con la Vostok 6, con a bordo la prima donna dello spazio: Valentina Tereškova. La capsula della prima cosmonauta riuscì a raggiungere quella di Bykovskij e ad avvicinarsi, con uno spazio tra le due Vostok di soli 5 Km. In totale, il volo della Tereškova durò due giorni, 22 ore e 41 minuti. Durante questo periodo di tempo la cosmonauta compì 48 giri intorno alla terra, volando in totale per circa 1,97 milioni di km, ottenendo anche un altro primato, oltre a quello di prima donna nello spazio: l’unica donna del nostro pianeta a compiere un volo in solitaria nello spazio.

Anche la NASA raggiunse l’obiettivo di mettere in orbita degli astronauti. La missione Mercury-Redstone 3 (MR-3), permise ad Alan Shepard, uno dei “magnifici sette” eroi dello spazio, di compiere un volo suborbitale il 5 maggio 1961. Shepard battezzò la capsula con il nome di Freedom 7, dove il numero voleva ricordare che i primi astronauti americani selezionati erano per l'appunto sette, e da quel momento ogni volo Mercury con equipaggio venne ribattezzato con un nome scelto dall'astronauta e con accanto il numero 7.

Il primo americano ad andare effettivamente in orbita fu però John Glenn Jr., che il 20 febbraio 1962, alle 9:47, fu lanciato a bordo della Friendship 7 dal Complesso di lancio 14 di Cape Canaveral, in Florida. La capsula Mercury raggiunse l'orbita e fece per tre volte il giro della Terra, per una durata complessiva della missione pari a 4 ore e 55 minuti di volo. Poi, riuscì a rientrare nell’atmosfera terrestre, ammarando nell’Oceano Atlantico, dove venne recuperata dal cacciatorpediniere USS Noa DD-841, dopo aver percorso circa 121mila chilometri ad una velocità massima di 28mila chilometri all’ora.

Seppur ancora indietro rispetto al programma sovietico, gli americani cominciavano a guardare alla corsa allo spazio con maggiore ottimismo, forti anche delle parole che il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy aveva pronunciato il 25 maggio 1961, in una sessione a camere congiunte del Congresso americano. Kennedy annuncia che l'America raggiungerà la Luna entro il decennio, portando un suo astronauta entro il decennio. Il 12 settembre 1962 a Houston, in Texas, alla Rice University, Kennedy ribadisce il concetto in una conferenza per la sua nomina a professore onorario. È un discorso che viene ricordato come quello che diede il via – o per meglio dire accelerò – la conquista della Luna da parte dell’America.

Il Programma Gemini – il cui nome proviene dalla parola latina gemelli, perché la capsula era stata progettata per ospitare due astronauti – è il punto di svolta dell'esplorazione spaziale americana. La Gemini è la capsula che dovrà fare le prove generali per portare un americano sulla Luna, anche se non era molto diversa strutturalmente dalla Mercury, se si eccettuano due cose: erano presenti due posti per gli astronauti, anziché uno, e nella parte inferiore era dotata di un sistema di manovra orbitale posto nella parte posteriore della capsula, che poteva essere comandato dal secondo astronauta. È quest'ultimo elemento il più innovativo, perché con questa capsula la NASA intendeva fare le prove generali per andare in orbita intorno alla Luna ed era, quindi, necessario fare manovre come un rendez-vous o un accurato inserimento in orbita, senza tralasciare l'aggancio con un'altra navetta o modulo. Fino ad allora, infatti, tutte le capsule Mercury erano state guidate da Terra, rendendo gli astronauti poco più di semplici spettatori, senza nulla togliere al coraggio che comunque dimostrarono con le varie missioni. Ma non solo. Le missioni Gemini prevedevano anche passeggiate spaziali, ossia attività extraveicolari (EVA): l'obiettivo era la Luna, ma anche recuperare il gap che si era creato nei confronti del programma spaziale sovietico.

Una famosa foto della missione Apollo 11. Quiz: dov'è l'ombra della bandiera?
Una famosa foto della missione Apollo 11. Quiz: dov'è l'ombra della bandiera?

Il programma spaziale che rese possibile il sogno di andare sulla Luna fu però quello denominato Apollo. Sono passati otto anni dal discorso del presidente John Fitzgerald Kennedy, nel quale annunciava l'impegno degli Stati Uniti a portare un uomo sul nostro satellite. Kennedy non vedrà mai questo storico momento. Il suo assassinio, il 22 novembre del 1963 a Dallas, è uno shock per tutta l'America ed una ferita profonda, ma resta il fatto che la sua visionarietà per l'avventura umana nello spazio è stata profetica.

I sovietici, dal conto loro, erano sempre stati in vantaggio nella conquista delle stelle, un passo avanti agli americani, ma ad un certo punto si videro sorpassati. È difficile identificare con certezza le cause di questo improvviso scatto in avanti degli americani, ma probabilmente furono tre i fattori che misero il programma spaziale sovietico in stallo. Il primo è stato senza dubbio la morte del capo progettista Sergej Korolëv, uno dei padri dell'astronautica, non solo sovietica. L'uomo che aveva progettato e realizzato i razzi vettori che portarono satelliti e i primi esseri viventi nell'orbita terrestre muore nel momento decisivo: quello che avrebbe dovuto portare un sovietico sulla Luna. Un secondo fattore fu il cambio della leadership dell'URSS: Leonid Brežnev prende il posto di Nikita Krusciov. Brežnev assume nel 1964 sia la carica di Segretario generale del PCUS (Partito Comunista dell'Unione Sovietica) sia di leader dell'URSS, ma non ha la stessa passione per lo spazio del suo predecessore e soprattutto non ha la capacità di sfruttare propagandisticamente i risultati raggiunti dal programma spaziale sovietico. Infine, una terza causa, forse la decisiva, è che per mandare un uomo sulla Luna servivano ingenti risorse economiche, di cui i sovietici non disponevano e i tagli al sogno di andare sulla Luna furono probabilmente la causa decisiva che portò al naufragio del programma spaziale sovietico.

Gli americani, invece, riuscirono a coinvolgere sia gli apparati statali sia le industrie private e poterono contare su un budget considerevole per portare a termine il sogno di andare sul nostro satellite. I primi test del Programma Apollo iniziarono nel novembre del 1963, quando fu collaudato il Saturn, l'enorme razzo vettore che sarebbe stato utilizzato, nelle sue varie varianti, per tutto i lanci. Nel primo test di missione, venne collaudato il Launch Escape System, il sistema che permetteva alla navetta con gli astronauti di sganciarsi dal razzo, nel caso quest'ultimo avesse incontrato dei problemi durante la partenza e anche nella fase di decollo. La più grande sfida tecnologia era comunque il razzo Saturn, la cui progettazione era cominciata nel 1957, un anno prima della nascita della NASA. Il Dipartimento della Difesa statunitense aveva la necessità di poter disporre di un lanciatore che fosse in grado di portare in orbita satelliti più grandi e pesanti ed affidò a Wernher von Braun e al suo gruppo di scienziati e tecnici la progettazione di questo vero e proprio colosso della missilistica.

Il Programma Apollo ha portato sulla Luna in totale 12 astronauti, nel corso di 6 missioni, tra il 1969 e il 1972. Il grande pubblico non ricorda i nomi di tutti i 12 eroi dello spazio, ma due quasi sicuramente sì: Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Il motivo è semplice: sono il primo e il secondo uomo scesi sul nostro satellite. Michael Collins, il terzo astronauta dell'Apollo 11, già è un nome che si ricorda di meno, anche se il suo ruolo è stato fondamentale per la missione, al pari di quello degli altri due suoi compagni.

La mattina del 16 luglio del 1969 i tre astronauti sono pronti per la missione più importante per tutto il programma spaziale americano. La sveglia per Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins suona alle 4 e 30. Una fugace colazione e poi tutti in sala medica, per gli ultimi controlli, come da programma. Indossata la tuta spaziale, i tre si avviano alla rampa di lancio numero 39, dove è già in posizione l'enorme razzo Saturn V. Un ascensore porta gli astronauti in cima, dove c'è la navicella spaziale Apollo. Quest'ultima è formata da tre sezioni: il modulo di comando, denominato anche come il modulo Columbia, il modulo di servizio e il LEM (Lunar Excursion Module), il modulo lunare, denominato Aquila.

A forma di tronco di cono, il modulo di comando era quello in cui gli astronauti avrebbero viaggiato, stando sdraiati. Complessivamente il suo peso era di 5 tonnellate, per una larghezza di 3,9 metri ed un'altezza di 3,2 m. Era dotato di cinque oblò, dai quali gli astronauti potevano controllare l'esterno, mentre alla base del modulo c'era un rivestimento di fibre di vetro e resine, che al ritorno si sarebbe consumato, bruciando, durante il rientro nell'atmosfera, per via dell'attrito. Nel modulo di comando erano installati il computer e il sistema di guida e navigazione. Quest'ultima era garantita dai motori del modulo di servizio, tuttavia sulla sommità e sulla base erano presenti dei piccoli motori che sarebbero stati utilizzati per stabilire un corretto assetto di volo solo durante il rientro nell'atmosfera terrestre.

Il modulo di servizio è il più grande dei tre che compongono la navicella dell'Apollo. Si tratta di un cilindro che ha un'altezza di 7 metri, un diametro di 4 e un peso di 17 tonnellate. Al suo interno ci sono i serbatoi di idrogeno e ossigeno e i sistemi di propulsione e quelli per la produzione di energia elettrica. Al suo esterno sono posizionate le antenne per le comunicazioni con la Terra e il radar per il rendez-vous con il LEM. Il modulo era dotato di un motore che serviva a trasportare la navicella dall'orbita terrestre a quella lunare e viceversa. Una volta ritornato nell'orbita terrestre, il modulo veniva sganciato da quello di comando e abbandonato nell'atmosfera. Dove finiva per disintegrarsi.

Gli astronauti Al Bean (in primo piano) e Pete Conrad (riflesso sulla visiera) sul suolo lunare durante la missione Apollo 12 del 1969. Come si vede, nessuno dei due maneggia una macchina fotografica: chi ha scattato la foto? Perché, se i due sono sullo stesso livello, Bean e la sua telecamera sul petto appaiono ripresi da un'altezza di almeno due metri e mezzo-tre? Com'è possibile che la luce solare illumini Bean da sinistra e Conrad dalla parte esattamente opposta? Cosa sono quei due pezzi strutturali in alto a sinistra che pendono verso il terreno e sembrano sorreggere un faretto? Come mai l'orizzonte riflesso sulla visiera di Bean che combacia perfettamente con quello reale?
Gli astronauti Al Bean (in primo piano) e Pete Conrad (riflesso sulla visiera) sul suolo lunare durante la missione Apollo 12 del 1969. Come si vede, nessuno dei due maneggia una macchina fotografica: chi ha scattato la foto? Perché, se i due sono sullo stesso livello, Bean e la sua telecamera sul petto appaiono ripresi da un'altezza di almeno due metri e mezzo-tre? Com'è possibile che la luce solare illumini Bean da sinistra e Conrad dalla parte esattamente opposta? Cosa sono quei due pezzi strutturali in alto a sinistra che pendono verso il terreno e sembrano sorreggere un faretto? Come mai l'orizzonte riflesso sulla visiera di Bean che combacia perfettamente con quello reale?

Infine, c'era il LEM, il modulo lunare. Era formato da due parti: la prima era quella dove venivano ospitati gli astronauti durante la discesa sulla Luna, la seconda parte era quella dotata di zampe che servivano a posarsi sul suolo, ma anche a fungere da rampa di lancio per la parte superiore che si staccava, grazie al motore di cui era dotato, per immettersi nell'orbita lunare. Il peso complessivo del LEM era di 15 tonnellate, per un'altezza di 9 metri ed una larghezza di 7.

Saliti a bordo dell'Apollo, i tre astronauti sono pronti per il “Go” finale del lancio, che verrà dato dal direttore del lancio, l'italo-americano Rocco Petrone. Una volta effettuati tutti i controlli, finale, alle 9.32 ora americana, corrispondenti alle 15.32 ora italiana del 16 luglio 1969, il razzo Saturn V si alza dalla rampa 59 di Cape Canaveral in Florida, sotto gli occhi di tutto il mondo. Un boato assordante e un'enorme fiamma annunciano che il razzo è partito e, a poco a poco, si eleva verso il cielo. A 75 chilometri di altezza il primo stadio si stacca ed entrano in funziona i cinque motori del secondo stadio. Giunti all'altezza di 200 chilometri, il secondo stadio si stacca e il motore del terzo stadio porta l'Apollo in un orbita a 215 chilometri dal suolo terrestre. Sono passati solo 11 minuti e 50 secondi. Ora è tutto pronto affinché l'Apollo si avvii verso la Luna. Il motore del terzo stadio si riaccende, dopo circa due ore e mezzo di orbite terrestri, per la seconda volta è affranca la navicella dalla gravità terrestre, lanciandola verso il nostro satellite. Ora c'è da compiere una delle manovre più complicate di tutta la missione. Dopo quindici minuti dall'abbandono dell'orbita terrestre, viene staccato il terzo stadio del razzo che conteneva i LEM. Il terzo stadio viene lasciato nello spazio e il resto della navicella apollo fa un giro su sé stesso di 180 gradi, in modo che la punta a cono del modulo di comando si agganciasse al LEM. Così l'Apollo, con in testa il LEM, al centro il modulo di comando e poi il modulo di servizio, poteva raggiungere l'orbita lunare.

Durante le quasi 74 ore che servivano per arrivare sulla Luna, i tre astronauti effettuarono il primo collegamento televisivo con la Terra e poi riposarono. Fino a quel momento, dall'orbita terrestre all'orbita lunare, la navicella aveva viaggiato per inerzia, dopo la spinta del terzo stadio del Saturn V. Alle 15 e 27 minuti del 20 luglio, Neil Armstrong e Buzz Aldrin lasciarono il modulo di comando Columbia e si trasferirono nel LEM, ribattezzato l'Aquila. Si staccarono e cominciarono a scendere sulla Luna. A 700 metri dalla superficie del satellite, i due astronauti si accorgono che stanno andando lunghi, allontanandosi dall'area prevista dell'allunaggio, nell'area chiamata Mare della Tranquillità. Il rischio è di finire in una zona piena di crateri. Armstrong, senza consultare il centro di controllo missione di Houston, prende i comandi e cerca a vista un luogo dove poter atterrare. A circa 90 metri si accendono varie spie rosse, tra cui una che indica che ci sono solo 90 secondi di carburante. I due astronauti sono davanti ad una scelta: portare giù il LEM oppure rientrare nel modulo di comando, abbandonando la missione. Decidono di continuare la discesa.

Alle 22 e 17 minuti del 20 luglio 1969, in Italia erano le 4 e 55 minuti del 21 luglio, l'uomo era arrivato sulla Luna.

Neil Armosrong e Buzz Aldrin diedero un'occhiata fuori dai finestrini dell'Aquila e si ritrovarono davanti il desolante panorama della Luna, molto probabilmente il più bello della loro vita. Rinunciarono al riposo, come prevedeva il programma, ed effettuarono tutti i preparativi per il ritorno in orbita, in caso si rendesse necessario una partenza improvvisa. A questo punto erano pronti per scendere. L'onore toccava a Neil Armstrong e senza indugi, il comandante della missione cominciò a scendere la scaletta, notando ad alta voce che il modulo affondava nella superficie lunare per circa 3-5 centimetri. A questo punto, prima di mettere piede sulla Luna, Armstrong pronuncia la nota frase che segnerà lo sbarco del primo uomo su un altro corpo celeste: “Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l'umanità”. Dopo di lui scese Buzz Aldrin.

La più grande impresa dell'uomo era compiuta: la Luna era stata conquistata. Il resto, come suole dirsi, è Storia.