E se il Primo Contatto non fosse avvenuto negli USA? Lo so, siamo abituati, per tutta una serie di motivi di tradizione e di prevalenza anglosassone nella fantascienza, a immaginarci i nostri bravi dischi volanti, con corredo di alieni misteriosi -buoni, cattivissimi - portatori di civiltà superiori ecc. ecc., atterrare, che so, a Washington, o nel deserto dell’Arizona, o al più, volendo proprio andare in trasferta, schiantarsi in Alaska.

Ma se ormai le cose stanno un po’ cambiando, e ciascuno può ritagliarsi i suoi spazi di immaginazione, se ormai si ammette che questi benedetti UFO possano persino (vigili permettendo) atterrare a Lucca, perché non in qualche altro posto, tipo... Napoli? Pensate quanti spunti possibili.

Io sono una convinta seguace della teoria per cui gli italiani dovrebbero provare a scrivere di Italia. Che non significa “limitarsi a “: va benissimo parlare di futuri remoti o galassie lontane, ma se invece si vogliono scrivere storie più vicine a noi, perché ambientarle in una fittizia realtà americana con nomi inglesi appiccicaticci, rendendole volutamente meno interessanti?

Per me questo originale racconto, scritto a quattro mani da Stefano Marcelli e Giuseppe D’Emilio, e giunto quarto all’Alien dell’anno scorso, è un ottimo esempio di quello che intendo: una storia briosa che sconfina nel surreale, su un vivace sfondo partenopeo, con tanto di dischi volanti sul Vesuvio. - Milena Debenedetti

Girolamo il napoletano

Mancavano pochi giorni a Capodanno. Mia moglie e io, dal Vomero, dove risiedeva l’ultima zia rimastami del ramo cromosomico di mio padre, decidemmo di visitare Spaccanapoli, nelle ore restanti di quel pomeriggio piovigginoso e già un po’ buio, rarità dell’inverno napoletano. L’uscita fu preceduta dalle consegne di rito: - Mi raccomando, niente borsa! (E dove metto le mie cose?) Attenti alle tasche! (Mica posso uscire in mutande!) Guardatevi sempre indietro! (Sì, così mi viene il torcicollo!) Non comprate niente fuori dai negozi! (Cioè i veri affari di Napoli!) Nun ve fidate maje ’e nisciuno! (Bei cattolici!) Le frasi tra parentesi erano i pensieri di mia moglie. Settentrionale, gentile, metteva un lieve broncio, ma non verbalizzava le risposte per non offendere mia zia. Superammo i primi isolati di Piazza Medaglie d’Oro e giù, con passo audace, nell’atmosfera densa di gas di scarico di via Piave, i cui tornanti, con facile metafora, ci parvero gironi dell’Inferno. Bancarelle di fuochi d’artificio. La vera Napoli. In via Epomeo accedemmo alla stazione della Cumana, metropolitana di superficie che ci avrebbe portato a Spaccanapoli. Il nome della linea, legato alla Sibilla, chiamava a terra le stelle...

L’osservazione dei passeggeri dava informazioni su una delle caratteristiche della popolazione napoletana: la suddivisione in buoni e cattivi. Faccini di ragazze, vergini come mammà le voleva, miti ragazzini cicciottelli immersi nella lettura, severe madri in grigio con la borsetta serrata all’addome - perciò i buoni - si miscelavano a ragazze con unghie nere e capelli unti, che reggevano sporte piene di oggetti di rapina e di elemosina forzata, a uomini torvi, con mani tozze, pronte a stringersi con altre in patti malavitosi, a guappi esalanti tabacco, jeans attillati con l’orlo mangiato dall’asfalto, gli occhi appannati da danaro e sesso facile - dunque i cattivi. Chiaro, no?

Tra una divagazione e l’altra della mente - che non dimenticava la recente notizia dell’avvistamento di un disco volante sul Vesuvio - e l’attenzione vigile a prevenire il borseggio, il treno arrivò a destinazione. Zigzagando tra la gente chiassosa e l’immobile traffico del centro, eccoci al Monastero di Santa Chiara in piena Spaccanapoli.

Mia moglie non sembrava interessarsi alle domande che rivolgevo ai passanti. È mia abitudine scherzare. Questo mi rende simpatico, ma quella sera chiunque avrebbe detto che stavo esagerando. Mentre lei affacciava il naso sui presepi, io approfittavo dei napoletani buoni, interrompendone il cammino con il mio accento da turista.

- Mi saprebbe indicare dove si trova la casa di Girolamo... lo spadaccino?

Avevo da poco terminato la lettura del Capitan Fracassa e il nome del Maestro d’armi più in voga nella Parigi delle lame e dei duelli mi era rimasto impresso.

- Chiedo scusa, ma che cognomme tiene ’stu signore? Accà ce ne stanno assai di Ggirolami.

- È vissuto nel Seicento, da queste parti. Insegnava la botta.

- Nun saccio niente della botta di Ggirolamo. Deve domandare a qualche negozio, loro sanno meglio. - Sembrava aver capito, con perspicacia che troncava le mie parole, di avere di fronte uno che non sapeva cosa volesse.

Abbordai una ragazza dal viso intelligente. - Sì, Girolamo! Ma faciteme ’o piacere. - Poi fu la volta del commesso di un negozio, poi di una coppia di donne che chiacchierava sotto l’ombrello. Nessuno sapeva nulla.

Infine, mentre mi tornava in mente il disco volante sul Vesuvio...

- Scusi... mi sa dire dove abita Girolamo?

Si voltò un signore elegante, alto e corpulento. Prima che mi rispondesse, compresi dal suo sguardo, che subito sottomise il mio, che aveva capito tutto. Avevo infastidito un cattivo. Provai comunque a rimediare, recitando la parte dello studentello.

- Mi spiace averla importunata. Può non rispondermi, ma... - Era dura cavarsela. - Sto facendo una ricerca sulla Napoli romantica - precisai dandomi un tono. Non si poteva mentire a quegli occhi. - Sto raccogliendo notizie su un personaggio dello scrittore Gautier.

Le sue parole furono scandite a voce alta. Niente insulti o minacce. Magari mi avesse dato due bei ceffoni. Dio mio! Perché delle volte sono così? Me lo diceva sempre mio padre che qualcuno prima o poi me le avrebbe suonate. E sì che ero ben cosciente della suddivisione della società napoletana!

- A quanto pare, voi cercate - in francese perfetto - Girolamò le na-po-li-tain, lo spadaccino, il migliore, il maestro di Jacques Lampourde e di mille altri onorati schermidori. Il Maestro della botta!

Fin dalla prima delle mie parole, avevo turbato l’anima di Girolamo, che non sapevo, ma l’avrei saputo, godeva la quiete dell’eterno riposo sotto la pietra della corte di un palazzo barocco lì vicino.

Sostavamo in un angolo da cui iniziava un vicolo angusto che, solo a sbirciarvi dentro, ti scoppiava la testa di duelli, dei quali pareva sentire i rumori delle lame. Così si chiamavano, al tempo di Girolamo, sia le armi sia gli uomini.

Ma chi è costui?, pensai.

Aveva quasi gridato, perché i passanti capissero. Dietro di me, che volgevo lo sguardo in parte all’omone nero e in parte ai gatti del vicolo, pronti a tramutarsi in spadaccini, sentivo la presenza degli spaccanapoletani; intuivo il loro suggerimento tacito di inginocchiarmi e chiedere perdono. Ma lo stupido che regna in me mi obbligava a perseverare, nonostante cominciassero a colpirmi i particolari. La croce scura capovolta della setta del Buco Nero gli si affacciava sul petto. Un anello al pollice riproduceva l’effigie del Caprone Cosmico. E il segno del comando testimoniava la sua appartenenza ai sommi ranghi della Camorra. Extraterrestre, di sicuro.

- Vedo che è preparato! - commentai. E senza volerlo aggiunsi un tono ironico alla frase. - Mi indichi allora dove ha abitato Girolamo, se la sa così lunga.

- Dove abita, intendete! - ribatté.

Passanti e gatti si dileguarono. Mi venne in mente mia moglie. Avrei voluto chiamare aiuto, ma ero paralizzato da quegli occhi nerissimi da Mangiafuoco di Aldebaran.

- Visto che insistete tanto, vi dirò come trovare Girolamo - seguitò.

- Ascoltatemi bene, signorino! A due isolati da qui ci sta Salvatore, l’antiquario. Chiedete a lui. Vado a prepararmi. A più tardi!

Chiamai ad alta voce la mia mogliettina: - Anna! - mentre mi veniva in mente la dea romana Anna Perenna, protettrice dei matti. Mi sentii toccare alle spalle e sobbalzai, inarcandomi come per un’infilzata di fioretto.

- Cos’hai da gridare? Non ti senti bene? Sei così pallido! Chi era quello?

Cosa potevo dirle? A lei, che come mio padre, mi rimproverava sempre di esagerare e mi chiedeva di non fare scherzi per strada? Risposi: - Era Girolamo!

Mi sorpresi di quella frase, eppure mi era uscita spontaneamente, tant’è che lei disse: - Dai troppa confidenza agli sconosciuti.

- Come non conosco Girolamo! - reagii. - Ma se lo conosci anche tu... dai! Il Girolamo del Capitan Fracassa!

- Guarda che te l’ho fatto conoscere io Gautier! Gli piacevano molto le spade, i duelli ed era anche un occultista. Maghi, reincarnazione e fantasmi. Uno dei primi a credere nella vita marziana, tra l’altro. Ma non sono cose che sanno tutti. Adesso spiegami cosa c’entra Girolamo con quel signore!

Era alterata per non essere riuscita ad attendere in pace agli acquisti. Non so se sia corretta l’espressione, ma io rimpallidii nell’udire la parola “marziana”.

Una sparatoria di petardi mi fece dimenticare l’alieno camorrista. A braccetto di Anna Perenna scivolavo sotto i muri di Spaccanapoli e sulla pietra lavica delle sue strade, tiepidamente viscide per la pioggia.