Lei sapeva dove andare. Ci introducemmo nelle vie più speciali, tra le costruzioni più datate, talune risalenti a quando Napoli era ciò che oggi è Spaccanapoli. Immaginavo la vita al di là di quei portali, giravo la testa, non per guardarmi le spalle come suggeriva mia zia, ma per ammirare il Bello, che si mostrava vanitoso accanto al Fatiscente. L’atmosfera e le strade a rete mi davano l’impressione di essere dentro l’isola di Manhattan o nei pressi di Nôtre Dame a Parigi. Il mio inconscio mi trasportava in quelle due città per salvarmi da Napoli. Davanti a un’edicola vidi campeggiare la prima pagina del “Mattino”. Alieni e lava. Nel Vesuvio si cela un nuovo mistero. Sbucammo in una piazza luminosa, mia moglie mi strinse. - Eccoci arrivati! - Da brava miope strizzò gli occhietti, e lesse: - Don Salvatore. Antiquario. Non vi dico la mia felicità! - La zia dice che qui hanno le cose più belle. Presto! - Mi spinse emozionata verso l’entrata. - Stanno per chiudere.

Davanti al negozio due grandi bidoni reggevano enormi ceste di vimini, che mostravano ogni cosa possibile all’altezza degli occhi dei clienti. Altri contenitori poggiavano direttamente sul lastricato. Cinque scalini portavano dentro al negozio attraverso la porta sormontata da un’insegna al neon. Si intravedevano bacheche piene di reperti. Due marcantoni giravano tra i bidoni, entravano e uscivano dal negozio con oggetti che riponevano o toglievano dalle mani di alcuni clienti, confabulavano tra loro e borbottavano tra sé.

Anna si dava un gran da fare, contrattando come un’araba, cercando invano di far prevalere la rapida cadenza lombarda sul flemmatico incedere napoletano.

Io ero paralizzato tra le ceste, ogni tanto guardavo dentro il negozio per vedere se l’alieno A più tardi! fosse lì. Non potevo impedire alla mia vista di allungarsi sulle ceste dalle quali spuntavano pistole, lanterne, bambole di gesso, statuette. L’occhio mi era appena caduto su uno strano oggetto, quando uno dei due antiquari - Salvatore, perché così lo aveva chiamato l’altro - come un falco si precipitò su di me.

- Il signore ha gusto! - esclamò con la contentezza del commerciante che pizzica sul nascere un interesse verso la merce. Prese tra le dita il cazzetto bronzeo con le ali.

Per uno come me, quello era un oggetto simpatico. Era la riproduzione di un fallo umano in erezione, lungo dieci centimetri e grosso al massimo tre, come un salame cacciatorino, con il glande scoperto, dalle proporzioni armoniche, con lo scroto raccolto come quello dei bambini. Dalla base si staccavano due alucce da puttino.

- Con voi posso parlare - disse, e si guardò intorno. - Ci pensate che questo può essere stato nella cosina di una matrona? o persino nel sederino di un Imperatore?

- Interessante - risposi fingendo indifferenza.

Salvatore si avvicinò, urtandomi con atteggiamento confidente: - L’ho pescato io, proprio io, in una casa nobbile a Pompei. È autentico, nu vero piezzo! È il primo e l’ultimo che ho visto in tanti anni che faccio ’stu mestiere. - Mi squadrò, stimò d’un lampo le mie tasche e sussurrò con soddisfazione: - Solo duemila euro!

- Anna! - chiamai la barbona che frugava nelle ceste. - Guarda un po’...

Consapevole del mio intuito, spesso femminile, abbandonò la sua ricerca e si avvicinò. Salvatore era imbarazzato. Temeva che facessi entrare mia moglie nella conversazione, però tese timidamente la mano verso di lei, mostrando il diavoletto con le ali.

- Solo duemila euro - ripetei.

Qualche secondo di sguardi a me, a Salvatore, al cazzetto, poi ancora a me.

- E poi, cosa te ne fai? - sorrise. Si diresse nuovamente alle ceste lanciandomi un’occhiata obliqua, rimprovero alla malizia del momento e alle intenzioni di sempre.

Quel gingillo uscì dai miei pensieri. Vi rientrò Girolamo, il vecchio e il nuovo. Mi feci coraggio. Il dado era tratto. Come per farmi un complice, dissi:

- Don Salvatore, senta!

- Ma prego! - rispose l’antiquario con calcolata cortesia. - Ditemi tutto.

- Le risulta che da queste parti abbia abitato un tale Girolamo, lo spadaccino?

Salvatore mutò espressione e rispose freddo: - Ah, siete voi lo sfrontato! Ma che gli avete fatto? Vi sta aspettando dentro Palazzo Mantecaro.

- Entra in quel vicolo - aggiunse incagnato dandomi improvvisamente del tu, accennando al lato opposto della piazza. - Sta’ attento al buio, dopo due case c’è il portone che sai.

Fermò mia moglie che si avvicinava.

- So’ cose nostre, non vi impicciate siggnora!

Anna era preoccupata: - Ma che gli hai fatto? - Quasi piangeva.

- Niente, niente! - balbettai. Mi volsi in direzione di Palazzo Mantecaro. Salvatore mi afferrò una manica.

- Aspietta! Devi prendere questa! - Mi diede una spada. Ne riconobbi la marca: una F.lli Del Turco. Era però antica e non nascondeva di essere già stata usata.

- Addio! - disse Salvatore trattenendo, con la sola forza di un ghigno, ulteriori interventi di Anna.