In versioni più “colte”, lo spazio vituale era stato modo per parlare ironicamente della difficoltà “postmoderna” di raccontare in maniera obiettiva, di fare dell’ironia sulla fantascienza e sulla letteratura in generale. Esempi di questo tipo sono il precursore Engine Summer (1979; La città dell’estate, Urania) di John Crowley e Freedom Beach (1985; Altri sogni, Fanucci/Phoenix) di James Patrick Kelly e John Kessel, oltre a The Continent of Lies (1984) di James Morrow, tutte ricerche di redenzione interiore che sfociano in tragedia, e satire dell’industria culturale. A queste possiamo aggiungere il rutilante mondo di Stars in My Pockets Like Grains of Sand (1984) di Samuel Delany, scettica riflessione sulla difficoltà, anche in un universo lanciato verso l’espansione illimitata di tecnologie e idee, di conciliare le diversità (razziali, sessuali, aliene). Ancora più estetizzanti (ma ottime letture comunque) sono Metrophage (1988; Metrofaga, Shake) di Richard Kadrey e Halo (1991; Halo, Phoenix) di Tom Maddox, pastiches che danno nuovi trattamenti ai temi della città e dell’intelligenza artificiale Fuori dal gruppo ma non dalle tematiche, abbiamo Antibodies di David Skal (1988), più famoso come critico cinematografico (ma anche autore nel 1980 di Scavengers, che aveva anticipato molto) col tremendo conflitto fra una subcultura che persegue l’ascesi attraverso la sostituzione di pezzi del corpo (gli “anti-corpi”, fatto soprattutto di donne) e pratiche mediche correttive oltre i limiti del disumano. Non c’è una via d’uscita nel più sconvolgente trattamento del repertorio cyberpunk.

K.W. Jeter
K.W. Jeter
Altrettanto marginale alla “scuola” di Sterling (ma profondamente efficace, critica e tagliente) è la narrativa del californiano K. W. Jeter. Dr. Adder (1984; Dr. Adder, Fanucci) un romanzo scritto anni prima, che aveva attratto l’attenzione di Dick), in cui il potente di turno, dotato di un braccio cyborg (un “guanto di luce” in grado di uccidere a distanza), vuole “ridisegnare” gli umani per integrarli in una macchina sociale fatta di industria e prostituzione; contro questo grottesco governante si scontra un personaggio dal nome allegorico di E. Allen Limmit. In un mondo orrifico degno di Edgar Allan Poe, colui che incarna il “limite” e si scontra con le illusioni di illimitatezza, può solo sopravvivere ritirandosi a lavorare in una terrificante fattoria biotecnologica. Gli incubi mediatici sono centrali in The Glass Hammer (1985; Telemorte, Urania) e Madlands (1991; Madlands, Urania). Nel primo, abbiamo le identità letteralmente cancellate dalla TV; nel secondo, una “bomba della realtà” porta all’emergere di un mondo parallelo in cui prendono vita i personaggi di Hollywood: l’azione ruoterà intorno ai “Joadoids” (figure virtuali basate sulla famiglia Joad di Furore di Steinbeck e Ford), una controparte acida (e ancora più beffarda) dei cartoni di Roger Rabbit. Il capolavoro è forse Farewell Horizontal (1988; L’addio orizzontale, Urania), un mondo grottesco legato alla vita “orizzontale” in una società ultramoderna e “verticale” con motociclisti che corrono su cavi sospesi e vari solitari: lotte di potere, e un protagonista che vede la vita “verticale” come forma di opposizione esplicita. Soprattutto, è l’unico che riesce a ricostruire una sfera pubblica, a opporsi oltre a uscire. Sempre andando poi nella frontiera virtuale.

Walter Jon Williams, insieme a Marc Laidlaw, rappresenta una variante classicamente distopica del cyberpunk. Il trittico di Williams comprende Hardwired (1986; Guerrieri dell’interfaccia, Phoenix), Voice of the Whirlwind (1987; La voce del vortice, Fanucci) e Angel Station (1989; Stazione Angelica, Fanucci), brillante e inquadrabile dalla descrizione data ai protagonisti del primo, definiti subito come “gli ultimi americani liberi”. Più satirico è Laidlaw (autore di molte collaborazioni con Rucker) in Dad’s Nuke (1985; Una famiglia nucleare, Bompiani) e Kalifornia (1993; Kalifornia, Urania), con protagonisti che trovano il modo di uscire dal sistema dell’ideologia. L’idea di un eroe dotato di una indistruttibile autosufficienza intima porta Williams all’edonista oligarchia nullafacente di Aristoi (1992; Aristoi, Mondadori), che si è separata dal mondo grazie alla virtualità.