La loro improvvisa comparsa aveva spaventato un gruppo di Pterodattili che si era alzato in volo, stridendo furiosamente. I sei Assaltatori avevano seguito con lo sguardo i loro pesanti volteggi sui canneti della palude, gli occhi sgranati, pronti a un'istintiva difesa, finché gli esseri alati erano scomparsi. Allora erano cominciate le domande senza speranza di risposta. Dove si trovavano? Chi li aveva trasportati sotto quella titanica cupola opaca? Soprattutto: perché? Non avevano trovato spiegazioni ragionevoli. Il Doppio Cerchio Federativo era in pace. Non poteva essere stato un atto d'aggressione. E poi, chi aveva mai sentito parlare di una simile tecnica di guerra? A meno che... Forse...

Avevano continuato a discutere nervosamente per ore, cercando nello stesso tempo di mettersi in contatto con l'incrociatore. O con la Base a Terra. O con chiunque potesse sentirli. La forte luce verdastra che illuminava la cupola si era attenuata, trascolorando lentamente. Era sopraggiunta una notte buia, piena di rumori e di occhi fosforescenti. I sei uomini avevano sistemato un cerchio difensivo, riparandosi dietro le slitte anti-g. Nessuno di loro aveva dormito. L'alba del giorno seguente li aveva trovati stanchi e insonnoliti tra i miasmi putridi della palude. Gli occhi pesanti e le armi ancora strette in pugno. Ma lo shock era passato.

Finalmente avevano cercato d'organizzarsi per uscire dalla cupola. In mancanza di punti di riferimento noti, avevano deciso di dirigersi a nord e si erano incamminati. Avevano dovuto farsi largo tra altissimi canneti dalle foglie taglienti. Trovare il sentiero nel fango che risucchiava gli stivali. Sparare contro esseri mai visti che, fin dall'inizio, si erano messi sulle loro tracce, rimanendo come una presenza invisibile ed inquietante nei fitti banchi di nebbia. Erano arrivati alla base della cupola una settimana più tardi. Quasi subito avevano individuato la galleria: un largo budello dalle pareti metalliche che brillavano di riflessi ondeggianti. La scoperta li aveva rinvigoriti. Vi si erano addentrati con decisione, pronti ad affrontare qualsiasi cosa li aspettasse fuori. Cinque ore dopo, l'amara delusione. La lunghissima galleria li aveva portati sulla sommità di una montagna innevata. Sotto di loro c'era un'ampia pianura d'erba viola e gialla, su cui correvano mandrie di quadrupedi dalle lunghe corna arcuate. Un fiume. Altre montagne che delimitavano la valle come una corona di granito. E tutto era chiuso sotto la solita cupola titanica che creava, in alto, l'illusione di un cielo lattiginoso.

Erano usciti da una gabbia solo per entrare in un'altra.

Il colpo era stato duro. Ary aveva dovuto ricorrere a tutta la sua autorità di capo pattuglia per far fronte alla situazione. Erano scesi dalla montagna, aiutati dalla bassa gravità, e si erano incamminati di nuovo verso nord, attraversando la valle. Da quel giorno la manovra si era ripetuta decine di volte, con mortale puntualità. Arrivavano alla base di una cupola. Trovavano e percorrevano una galleria di raccordo. Spuntavano in un'altra cupola. I paesaggi che si susseguivano sotto i loro sguardi stanchi e disillusi erano sempre diversi. Diverse erano le condizioni di atmosfera e gravità. La flora e la fauna. Ma sulle loro teste c'era sempre quel cielo artificiale, curvo e lattescente, che li accompagnava come una condanna senza appello.

Era stato Miller a usare per primo la parola "labirinto". E tutti avevano adottato la definizione senza difficoltà. Si trovavano in un mondo di scatole comunicanti, in cui sembravano essere state riprodotte tutte le possibili condizioni planetarie dell'universo. Da ogni cupola partiva un grande numero di gallerie di raccordo. Questo permetteva una certa autonomia nella scelta della direzione da prendere. Anche se molte delle cupole non erano praticabili per l'Homo Sapiens, i sei Assaltatori avrebbero potuto muoversi all'interno del sistema con una ragionevole libertà. Ma forse, non uscirne.