Ary ebbe uno scatto nervoso. Imbracciò il laser e lo puntò contro l'Ectoplasma. Per un attimo fu davvero sul punto di premere il grilletto. Di sparare a se stesso. Ma non lo fece. Sapeva che sarebbe stato inutile. Riabbassò l'arma di scatto.

- Cosa sai? - chiese a denti stretti.

- Tutto - ribatté l'Ectoplasma. - Non è forse vero che hai intenzione di ricominciare da capo col tuo progetto distruttivo?

- Sì, ricomincerò! So dove trovare le mine degli altri. Questa volta ne metterò il doppio. Il triplo.

- Un altro fallimento.

- Forse.

- Sii ragionevole, Ary. Impara ad accettare il Labirinto per quello che ti dà. Combatterlo non serve.

- Forse non servirà a distruggerlo - concluse l'Assaltatore freddamente. - Ma a una cosa servirà di sicuro: a farmi sentire che esisto.

Poi, senza dare all'Ectoplasma il tempo di replicare, strattonò la slitta e riprese la strada. Con quella gamba malandata forse avrebbe impiegato più di dieci ore per uscire dalla galleria. Ma fossero stati anche dieci giorni, sarebbe andato fino in fondo. Questa volta la direzione era sud. Indietro sui propri passi. Verso le cupole dove aveva sepolto gli altri. Julian. Miller. Cerezo. E le mine atomiche dell'equipaggiamento insieme a loro. Forse l'Ectoplasma aveva ragione. Forse il Labirinto non poteva essere distrutto. Ma una scelta sbagliata è comunque meglio di nessuna scelta.

Assestò lo zaino, senza fermarsi. Bilanciò meglio il laser nella mano. Fissò lo sguardo ostinato nella luce fioca della galleria. Alle sue spalle, l'eco della pioggia nella cupola-foresta si faceva sempre più debole. Più sordo. Più lontano.