Distruggerla.

Il giorno in cui aveva gettato la prima atomica D nel Condotto del Cibo, lo aveva fatto con la rabbia di un animale esasperato che rode le sbarre della gabbia. Forse si sarebbe rotto i denti su quelle sbarre, senza riuscire neppure ad intaccarle. Ma avrebbe provato. Perché doveva.

5.

Quando il Condotto del Cibo era comparso nella radura, i sensori della tuta avevano ticchettato un po' più forte. Questa volta l'attesa era stata relativamente breve. Solo cinque giorni. Ma Ary aveva imparato da tempo a non rallegrarsi di nulla. Era tornato alla piazzola senza particolari emozioni. O forse solo con un inevitabile nervosismo per l'azione imminente.

Sotto la cupola, da qualche ora, l'aria era incupita, come se il "cielo" si stesse annuvolando. I grandi alberi nodosi, le felci, il fitto sottobosco, gocciolavano una specie di rugiada oleosa che si attaccava al minimo contatto. I colori violenti della vegetazione tropicale erano impalliditi. Ad un orecchio attento anche i consueti rumori della foresta sarebbero apparsi diversi. Ma Ary non fece alcuno sforzo per notare la differenza. Raggiunse rapidamente il suo punto d'osservazione ai margini della radura e prese a studiare la situazione.

Loro erano là. Il Numero Uno alla sua sinistra. Il Due a destra. Nascosti dal muro verde scuro degli alberi ma perfettamente visibili nel suo visore sotto forma di punti violacei, luminescenti. Il Condotto del Cibo luccicava debolmente, al centro della piazzola. Anche a quella distanza, la gelatina azzurrognola che usciva dallo sportello superiore si vedeva chiaramente. E Ary non poté fare a meno di pensare che sembrava aspettasse qualcuno. Come il boccone di cibo (era il caso di dirlo) nella trappola del topo. Allontanò il pensiero con fastidio e si sforzò di concentrarsi. I sensori della tuta continuavano a frusciare sommessamente, trasmettendogli dati e informazioni sulla posizione degli alieni. In realtà, per il momento non ce ne sarebbe stato bisogno. Loro aspettavano. Come lui. Il fatto che non si fossero ancora mossi, anche se il Condotto luccicava invitante ormai da alcuni minuti, significava due cose. Punto primo, erano cacciatori esperti. Punto secondo, sapevano della presenza degli altri. O almeno la sospettavano. Una situazione interessante, si sorprese a pensare Ary in un slancio di acida ironia.

Un ticchettio più forte lo strappò alle sue riflessioni. Nel visore del casco, uno dei punti viola si mosse lentamente. Era il Numero Uno. Ary si spostò a sua volta, per tenerlo sotto tiro. L'Uno strisciò per alcuni metri lungo il perimetro della piazzola, senza mai uscire allo scoperto. Si fermò. Tornò indietro. Aspettò qualche istante. Ripeté la manovra. Ancora alcuni metri lungo il bordo della radura e un ritorno veloce al punto di partenza. Stava chiaramente cercando di provocare una reazione, nella speranza di scoprire la consistenza dei suoi avversari. Ary continuò ad aspettare immobile tra i cespugli, il laser stretto nella mano lievemente sudata.

Alla sua destra, il Numero Due ebbe un piccolo movimento, ma non lasciò la sua posizione. Seguirono lunghi secondi d'attesa. Improvvisamente cadde uno spruzzo di pioggia. Di colpo. Come per caso. La foresta sembrò emettere un lieve brontolio infastidito, mentre l'acqua schizzava rapida sul fogliame. Poi tutto cessò. Ary se ne rese conto appena. Non c'era nulla che potesse interessarlo, in quel momento, oltre alla radura e agli alieni. Era come se intorno a lui fosse calata una spessa campana isolante. Gli occhi non vedevano. Le orecchie non sentivano. E per i due alieni doveva essere lo stesso. Ciascuno di loro stava cercando di capire. Di calcolare. Di prevedere. Nella snervante immobilità dell'attesa, Ary si sorprese a pensare che il primo a muoversi sarebbe stato il più disperato. Come sempre.