Un'edizione francese di <i>Shambleau</i> illustrata da Jean Claude Forest
Un'edizione francese di Shambleau illustrata da Jean Claude Forest
Allora si ricrea il filone romantico, sotto forma di storie di rimpianto elegiaco per il Marte perduto della fantascienza. Potremmo pensare alla manciata di racconti che Catherine Lucille Moore dedica, su Weird Tales negli anni Trenta, al personaggio di Northwest Smith, come Shambleau (1933), amara storia di un incontro con una Gorgone marziana, storia d'amore impossibile nel nome di una ricerca interiore che non si può interrompere, di un desiderio che non si può soddisfare. Un Marte "al femminile" che, riletto oggi, è ancora freschissimo e problematico.

Questa anche è la matrice di Leigh Brackett, autrice anche di notevoli noir e grandissima sceneggiatrice di film tratti da Raymond Chandler, così come di tanti western di Howard Hawks (oltre che di L'impero colpisce ancora). Come quei film col John Wayne anziano, nei suoi racconti e romanzi è in decadenza tutto il mondo dell'"ultima frontiera" (come si dirà poi) dello spazio, non solo la civiltà marziana. Il primo dei racconti riuniti nel 1967 in The Coming of the Terrans (Storie marziane) inizia con un'immagine da racconto noir:

Burk Winters era un uomo grosso, e un uomo duro, temprato da anni di volo nello spazio profondo. [...] Un uomo grosso, un uomo duro, ma un uomo che non era più in controllo di sé. Durante tutto il viaggio dalla Terra aveva fumato una dopo l'altra le piccole sigarette venusiane dall'effetto sedativo. Ne fumava una adesso, e anche così non riusciva a tener ferme le mani, né ad arrestare il continuo tic della sua guancia destra.

Qui, come in romanzi quali Shadows over Mars (E su Marte dominerai, 1944), e nel ciclo di La strada per Sinharat, ambientare l'avventura in un Marte presente in disfacimento vuol dire recuperare Marte come sogno letterario, per aggiornarlo a una visione più scettica-ma altrettanto mitica. Scrive Brackett nell'introduzione alle Storie marziane:

Per alcuni di noi, Marte è sempre stato l'Ultima Thule, le Auree Esperidi, la terra sempre invitante, dal fascino che cattura. Viaggiatori umani ed elettronici hanno dato inizio al compito di ridurre questi sogni a deleteri, freddi, duri fatti. [...] Per questo vi offro queste leggende sull'Antico Marte sotto forma di storie vere [...]. Posso garantire per ciascuna di queste avventure. Dopo tutto, io c'ero.

E Marte, nella persona del vecchio e morente filosofo Juwain, sembra essere la possibile fonte di una rinascita che ponga fine alla decadenza della Terra in Huddling Place (Jenkins, l'automa, 1944) di Clifford D. Simak (poi integrato in City). Il filosofo morirà prima di svelare il suo progetto, ma il suo sogno di un salto in avanti di migliaia di anni nello spazio di poche generazioni sarà portato avanti dal resto dei terrestri (quelli che rimarranno a casa come il protagonista, e quelli che andranno sui pianeti).

Il registro elegiaco trionferà definitivamente nei racconti delle Martian Chronicles (Cronache marziane, 1950) di Ray Bradbury, sicuramente il più celebre fra i libri qui raccontati. Saremo brevi, ricordando soprattutto la presentazione di un mondo morto, in cui canali, edifici e città in rovina sono popolati dai fantasmi dei sogni degli indigeni, e ancora più da quelli (a volte pericolosi come quelli della scienza e della tecnologia, a volte salvifici come quelli della letteratura) importati dai terrestri. Alla fine, mentre sulla Terra divampa una distruttiva guerra globale, è la "nostra" alienità a emergere. Solo a partire da quel riconoscimento, suggerisce Bradbury, si potrà recuperare l'innocenza a cui l'America e tutto il mondo hanno rinunciato nel nome del progresso materiale, e si potrà andare avanti: