Dal racconto Dall'altra parte di Umberto Rossi

- Allora... eravamo in quella piazza che è bella grande, hai presente? Era tutta piena di gente. Piena, completamente. Si vedeva solo l'obelisco al centro, intorno una distesa di teste, bandiere rosse e braccia. Piazza del Popolo traboccava di folla che s'era radunata a festeggiare, al grido di "viva la rivoluzione". Non ci volevo credere, ma quello gridavano. Di colpo mi pareva di essere tornato al Sessantotto. Io c'ero stato, alla Statale di Milano, avevo fatto cortei, occupazioni, tutto. Poi la vita m'aveva portato a fare altre cose. L'Italia era cambiata. Ma quella sera ero tornato lì, mi pareva di avere di nuovo vent'anni. Stavo lì, tra spintoni, gente che correva, che saltava. Sembravano tutti scemi, e forse lo erano, la felicità è una forma di follia. Sparavano in aria, colpi singoli, a raffica. Vedevo volare delle bottiglie sopra la distesa di teste: le tiravano così, senza pensarci. Erano felici, ecco cosa, erano ubriachi, non gliene fregava più niente di niente, avevano fatto la rivoluzione.

"Me lo disse Giovanni. E' la notte della rivoluzione, mi disse, 13 settembre 1980. Lo sentivo e non lo sentivo. Mi raccontava qualcosa di un colpo di stato della destra, del Pci in clandestinità... con quella confusione non è che abbia capito molto di cosa diceva. Più che altro mi guardavo intorno, e ringraziavo Iddio di non essere uscito in giacca e cravatta.

"Riuscivo a vedere sulle teste le due chiese gemelle, quelle colle cupole all'imbocco del Corso, hai presente? Mi dirigo da quella parte, con Giovanni che mi stava attaccato al braccio. Ero sbalordito. S'era avverato il nome della piazza: era quella dove si radunava il popolo. Non più un parcheggio per ministeriali e burocrati della Rai e commercianti delle vie di lusso, non era più una rotatoria per gente che veniva in macchina a fare spese lungo Via del Babuino. Era dei rossi, dei comunisti, dei compagni. Potevano mangiarsi tutte le pastarelle di Rosati e Bernasconi, alla faccia dei fasci che di solito bazzicavano quei bar.

"Mentre camminavamo vedevo delle scene... folli. Un soldato con un foulard bianco e rosso al collo arringava un gruppo di compagni con eskimo e borsa di Tolfa, mi pareva sbronzo, gridava con un accento spiccatamente settentrionale che se non c'era la rivoluzione lo mandavano al carcere militare a Peschiera, perché era andato a un'assemblea in divisa, e aveva detto che gli ufficiali erano solo dei porci fascisti e si stavano preparando al golpe, l'avevano sentito due carabinieri in borghese e l'avevano arrestato; per cui bisognava stare attenti, ce n'erano ancora altri in giro, bisognava trovarli...

"E Giovanni mi diceva che era il suo vecchio battaglione, il vostro battaglione, che s'era ammutinato e aveva dato le armi ai compagni. Lo sentivo e non lo sentivo. Più che altro ero frastornato. Un po' trascinati dal movimento della folla, un po' cercando di uscire dalla piazza, ci dirigiamo verso Santa Maria in Monte Santo e Santa Maria dei Miracoli, le chiese gemelle, e alla fine riusciamo a imboccare il Corso. Era strano, non c'erano automobili né bus, era come un corridoio, che s'apriva, dritto come un canale artificiale, tra le viuzze e le piazze del cuore di Roma. Un corridoio dove camminava parecchia gente, sventolando bandiere rosse.

"A quel punto ritrovo quel minimo di lucidità per chiedere a Giovanni che cosa sta succedendo. Quale rivoluzione? Lui alza le spalle, e mi dice che lì c'è, ma nel posto dal quale veniamo non c'è stata, tira fuori da una tasca un giornale arrotolato, è spiegazzato ma si vede che è nuovo, la carta è bianca, sai che i giornali ingialliscono, e io vedo la data: 12 settembre 1980.

- Insomma... dall'altra parte, vent'anni fa, c'è stata la rivoluzione.

- Esatto, e poi la guerra civile. Immagino che saranno intervenuti gli Americani, figurarsi.