Quando le radici: Gian Filippo Pizzo

L'autore Gian Filippo Pizzo è nato a Palermo nel 1951 e dal 1979 lavora a Firenze come Bibliotecario presso l'Università...

Gian Filippo Pizzo: leggi la presentazione di Vittorio Catani

Se avete viaggiato anche solo un po' per la galassia, tra le poche decine di pianeti abitati da esseri senzienti, probabilmente siete stati almeno una volta al Bar di Betty Blu, quella bettola vicino all'astroporto di Rigelville. Io lo conosco molto bene perché lo frequento fin da ragazzino, quando rischiavo di subire la punizione (spesso la subii, ed era pesante) di mio padre, che non voleva frequentassi un posto del genere.

Betty Blu si vantava di provenire da un pianeta ai margini della galassia. Il nome derivava dal colore della sua pelle, unico in tutto l'universo conosciuto. Soltanto pochi intimi sapevano che in realtà Betty era terrestre, che si chiamava Maria Jones e che un tempo aveva fatto la soubrette con il nome d'arte di Mariele St. Cyr. Poi aveva avuto un grosso colpo di fortuna, era diventata ricca e aveva aperto quel locale (sì, conosco bene anche la sua storia... C'è di mezzo uno strano pianeta, Tipewy, e una caccia a un animale ancora più strano ma estremamente prezioso. E' una storia molto bella e triste, ma la racconterò un'altra volta).

Quanto a me, ero il figlio del comandante dell'astroporto e, come tale, inevitabilmente avviato alla carriera militare. Che a me non piaceva. Non avrei mai sopportato la disciplina e la dura vita di gavetta prima di poter diventare qualcuno: ci voleva molto tempo per conquistarsi la libertà. Invece avevo scelto di fare il giornalista e lo scrittore. Avrei viaggiato ugualmente, ma sarei stato libero e inoltre avrei potuto raccontare a milioni di persone ciò che avevo visto e che avevo vissuto.

Era una scelta fatta sin da piccolo, e per questo mi piaceva andare al bar di Betty, dove si incontrano i tipi più inverosimili dell'intera galassia. Veri lupi dello spazio, di tutte le razze, con pelle rossa o verdastra, squame al posto dei capelli, denti lunghi come zanne di tricheco e altre simili amenità. (Mio padre si rassegnò quando scoprì che mio fratello Philip era portato più di me alla vita militare. Adesso è lui il comandante dell'astroporto di Rigelville; praticamente non si è mai mosso da lì).

Al Bar di Betty Blu si vedono molte facce insolite. Vi circolano anche strane storie. Io ne ho ascoltate migliaia, fin da bambino, e molte (le meno incredibili; o le più incredibili, se volete) le ho poi raccontate nei miei libri. Questa non l'ho mai riferita a nessuno. So che il suo protagonista era ancora vivo fino a poco tempo fa (ignoro se adesso sia morto, comunque è sparito dalla circolazione). Non ho deciso se inserirla o meno nel mio prossimo libro; non è uno dei miei racconti ambientati su pianeti misteriosi con protagonisti alieni e luoghi esotici... quel genere di roba così richiesta dagli adolescenti, che costituiscono la maggior parte del mio pubblico. No, questa riguarda un uomo che soffrì molto per ciò che fece...

Ma giudicherete voi.

* * *

Quella sera c'era poca animazione, al Bar di Betty. La maggior parte degli avventori era terrestre, poi c'era qualche tozzo gioviano e un paio di aldebaraniani seduti mestamente (almeno così sembrava: è difficile decifrare la loro espressione) a un tavolo, a sorbire i loro liquori.

Non c'era molto da fare. Stavo giocando a scacchi con il pilota di una nave marziana atterrata quel giorno: gli spaziali sono ottimi scacchisti, dal momento che l'abbondanza del tempo libero, a bordo, li abitua alla pazienza. Charles Thomas non sfuggiva alla regola e mi batteva quasi sempre, anche perché al bar io gioco senza concentrarmi, con l'orecchio sempre teso ad ascoltare. Ma quella sera la gente era poca, e io mi sentivo in ottima forma.

Feci un bel sacrificio di cavallo in f7 che mi consentì di sferrare un attacco travolgente; il gioco di Charlie perse coesione ed egli oppose poca resistenza.