Isaac Asimov non si definiva uno scrittore, perché, diceva, non aveva mai scritto aspirando al Premio Pulitzer, ma per farsi comprendere dai lettori sia che trattasse argomenti di divulgazione scientifica o di narrativa di genere, particolarmente quella di fantascienza e il giallo. L’ambiente nel quale esordirono i suoi lavori narrativi fu quello delle riviste di racconti (talvolta definite pulp per la qualità della carta sulla quale erano stampate) lo scoppiettante calderone creativo della prima metà del secolo scorso riguardo al quale lo stesso Asimov riportava gustosi aneddoti nelle presentazioni delle antologie che curava.

Asimov era anche biochimico e divulgatore scientifico, nonché ateo. Amava la scienza e guardava all’energia atomica come ad un grande traguardo dell’intelletto umano che avrebbe portato la civiltà umana ad assicurarsi un futuro felice, pacifico e tecnologicamente avanzato. Nel corso delle sue letture, come da lui più volte raccontato, restò colpito dall’opera di Edward Gibson Declino e Caduta dell’Impero Romano, che lo ispirò a scrivere una serie di racconti e romanzi poi raccolti a formare la Trilogia della Fondazione.

Nel corso dei romanzi vengono narrate le vicende dell’Impero Galattico che sta progressivamente declinando e quelle della Fondazione, un istituto enciclopedico deputato a capitalizzare la conoscenza dell’umanità sparsa tra le stelle allo scopo di ridurre la durata del “Periodo Buio” tra la caduta e il rinascimento “a soli mille anni”.

Abbiamo, quindi, una storia che si dovrebbe sviluppare lungo l’arco di un intero millennio e di cui, nella sola trilogia, Asimov considera più o meno i primi trecento anni. Le vicende iniziano presentandoci il padre della Psicostoria (branca scientifica inventata da Asimov che unisce matematica psicologia e sociologia allo scopo di operare previsioni sullo sviluppo della società) il matematico Hari Seldon che riuscirà a far approvare il piano di nascita della Fondazione per arrivare al superamento di quelle che prenderanno il nome di “crisi Seldon”, ovvero punti di svolta della storia della civiltà umana che la Fondazione dovrà superare per riuscire a sopravvivere e adempiere alla propria missione. Assisteremo così alla trasformazione dell’istituto enciclopedico in una gerarchia religiosa, quindi in potenza commerciale per poi vederla affrontare una minaccia inaspettata: la comparsa di un despota mutante che riesce a influenzare le menti e soggiogare in questo modo l’impero planetario fino alla rivelazione che di Fondazioni ne esistono due e la seconda è quella che in realtà da sempre sta effettivamente guidando gli eventi opportunamente nascosta su un pianeta insospettabile.

Va da se che una simile storia, per estensione cronologica e vastità della trama, non poteva essere focalizzata su un solo protagonista o comunque un piccolo gruppo di personaggi sempre identici (a meno di introdurre degli immortali), ecco perché di volta in volta Asimov mette al centro della vicenda nuovi personaggi, prediligendo soprattutto gli scontri politici e diplomatici fatti di dibattiti piuttosto che vaste battaglie galattiche. Il concetto centrale dell’intera narrazione è la benevola utilità della scienza (nello specifico la Psicostoria) che può permettere all’uomo (pur con tutte le sue innegabili mancanze) di non ripetere gli errori del passato e garantire un progresso costante che migliori le condizioni della civiltà. La differenza profonda tra Scienza e Religione, in Asimov, è che la prima (anche se alle volte con estrema fatica) accetta discussioni, contrasti e cambiamenti di opinioni, la seconda invece si mostra cristallizzata, dogmatica e sempre uguale, senza possibilità di evoluzione.

Insomma lo sguardo di Asimov è di quelli che guardano con ottimismo al futuro e al progresso.

Come non poteva esserlo negli USA che avevano vinto la seconda guerra mondiale e si avviavano verso il boom economico? Era l’età dell’oro di quel sottogenere della fantascienza che oggi chiamiamo Solarpunk.

Tenendo ben presente tutto quanto abbiamo detto fino ad ora, consideriamo la serie di Apple TV: Foundation. Una serie nata nel periodo dell’esplosione produttiva delle piattaforme di streaming  costantemente alla ricerca della nuova “serie evento” (di quelle che diventano un fenomeno di massa come Lost o Game Of Thrones) senza mai dimenticare le ferree regole del politically correct, dell’inclusività totale e forse anche della cancel culture (senza le quali l’opera morirebbe sul nascere) incentrata su una storia che, quando venne pubblicata, fu tra le prima ad utilizzare concetti come l’impero galattico, storia futura, terraformazione dei pianeti, uso estensivo dell’energia nucleare e sulla quale, negli anni successivi, hanno fondato il proprio world building opere (ne citiamo solo qualcuna) sia letterarie come Dune o il ciclo di Hyperion, che cinematografiche come Star Wars e fumettistiche come Valerian.

E mentre nascevano queste storie gli anni sono trascorsi e le cose sono cambiate, lo sguardo ottimistico verso un futuro fatto di progresso, stelle e pianeti si è abbassato pessimisticamente sul pianeta Terra e su un futuro sempre più incerto.

Portare sullo schermo Fondazione è stata di sicuro una scommessa enorme. Perché è ovvio che un  “docudrama” in stile History Channel fedelissimo al testo e basato sulla storia futura avrebbe affossato qualsiasi sforzo produttivo, così come rappresentare senza mezzi termini la scienza come la benevola risposta a tutti i mail dell’umanità sarebbe stato a dir poco divisivo se non proprio provocatorio specialmente nei social dove terrapiattisti e NoQualsiasicosa dilagano liberamente.

Quindi quello che abbiamo sullo schermo televisivo è dichiaratamente solo “ispirato di romanzi di Isaac Asimov” e nulla più.

L’impressione, sempre più forte mano a mano che procedono gli episodi, è quella di essere ritornati nella casa delle vacanze di quando eravamo bambini una cinquantina di anni dopo. Alle volte, quasi inconsapevolmente, possiamo cogliere un particolare che ci fa dire “è proprio quella”, ma sappiamo bene che quello che avevamo amato ormai appartiene al passato.

Nel corso della serie ci sono occasionali bei momenti e buon dispendio di mezzi tecnici che contribuiscono a far aleggiare il retrogusto di Asimov.

Ma la domanda che alla fine ci si pone è: C’era davvero bisogno di portare sullo schermo Fondazione?

All’inizio dicevamo del periodo scoppiettante e creativo delle riviste di racconti, e se volessimo paragonare questo periodo dello streaming con quello forse la differenza fondamentale è che all’epoca delle riviste pulp la fantascienza non esisteva e bisognava inventarla da zero, ora, invece, si cerca di tesaurizzare quanto è stato scritto, disegnato e anche girato nei decenni trascorsi per “riattualizzarlo” spesso proponendo opere che si differenziano tra loro per pochi dettagli rimanendo sempre nella comfort zone del “non rischiamo”.

Chi ha letto e amato Asimov, dunque, deciderà se e quanto concedere alla visione della serie. Ma la curiosità è per quanti (ce ne saranno?), vedendo la serie, prima o poi si lasceranno tentare da una fascetta in libreria che recita: “Il romanzo alla base della grande serie di fantascienza di Apple Tv” e proveranno a leggerlo. Riuscirà il Buon Dottore (come era soprannominato Asimov) ad affascinarli nonostante tutto?