A quindici anni di distanza da Non lasciarmi, Kazuo Ishiguro torna alla fantascienza con Klara e il Sole, un romanzo che dà voce a una Amica Artificiale, un androide alimentato a energia solare, creato per tenere compagnia ai figli della solitaria élite del futuro.

Ogni AA è dotato di una personalità individuale, e Klara, pur appartenendo a una serie precedente, è dotata di una sensibilità straordinaria, sconosciuta ai nuovi modelli più evoluti: per questo motivo viene scelta dall'adolescente Josie, con cui sviluppa un rapporto molto più profondo di quanto non avvenga normalmente tra AA e padroni.

Sullo sfondo della loro amicizia, intravediamo una società futura divisa tra classe lavoratrice, sempre più selettiva e potenziata geneticamente, e una moltitudine di esclusi, che non potendo permettersi l'eugenetica non hanno accesso agli studi; dal conflitto di classe sembrano emergere nuovi fascismi, ma, come spesso accade, chi esercita la violenza in nome della sicurezza rigetta quell'appellativo. Per sottrarsi alla violenza dilagante nelle città le élite si sono rifugiate in case di campagna isolate, dove le interazioni tra esseri umani sono rare, la scuola ha ripiegato definitivamente sulla didattica a distanza, e gli Amici Artificiali dovrebbero supplire alla carenza delle relazioni interprersonali.

L'invenzione fantascientifica più rilevante del romanzo è senza dubbio legata alle facoltà di visione di Klara (non a caso sfruttata per la bella copertina che Einaudi ha realizzato in quattro diverse colorazioni che alludono a momenti successivi del tramonto): anche se non viene mai spiegato direttamente – Ishiguro come sempre rifugge dall'infodump – ci accorgiamo che gli AA scompongono in riquadri ciò che appare ai loro occhi a seconda di come la luce colpisce gli elementi della scena e della posizione che loro occupano rispetto a tutti gli elementi.

Avevamo l’intero negozio davanti a noi, e vedevo fino al Tavolo di Vetro in fondo, solo che lo spazio adesso era frazionato in dieci riquadri, perciò non godevo più di un’immagine singola di ciò che avevo di fronte. La nicchia frontale si trovava nel riquadro alla mia estrema destra, come prevedibile; ma il tavolo delle riviste, che era vicinissimo alla nicchia, risultava diviso in vari riquadri, sicché una sezione del tavolo compariva addirittura nel riquadro alla mia estrema sinistra. Le luci ormai erano state abbassate e io scorgevo gli altri AA sullo sfondo di una serie di riquadri, allineati lungo le pareti di metà-negozio, pronti a dormire. Ma la mia attenzione fu attratta dai tre riquadri centrali, che in quel momento contenevano frammenti di Direttrice nell’atto di voltarsi verso di noi. In un riquadro era visibile solo dalla vita alla parte superiore del collo, mentre il riquadro accanto era quasi interamente occupato dai suoi occhi. L’occhio piú vicino a noi era molto piú grande dell’altro, ma tutti e due erano pieni di gentilezza e di tristezza. E ancora, il terzo riquadro incorniciava una parte della mandibola e quasi tutta la bocca sulla quale riconobbi segni di rabbia e di frustrazione. Infine, quando si fu voltata completamente per venire verso di noi, il negozio tornò a essere grossomodo un’unica immagine.  (Klara e il Sole, Parte prima)

Più debole, invece, per il lettore di fantascienza avveduto, si direbbe la riflessione sul modo in cui Klara conosce e apprende nuove informazioni sulla realtà. Se da un lato è interessante la prospettiva interna di Klara, con le sue credenze animiste sul Sole, sull'Inquinamento, sulle altre macchine – che grazie alla scrittura magistrale di Ishiguro finiamo per adottare anche noi lettori – dall'altro non si spiega come possa Klara possedere o inferire conoscenze tanto raffinate sulla psicologia umana e ignorare invece le credenze più basilari della società in cui vive.

Per non parlare del fatto che in una società in cui gran parte delle attività quotidiane si svolge tramite l'oblungo (uno smartphone o tablet, non è ben chiaro) le IA domestiche non sono dotate di connessione per reperire in rete le informazioni. Se pensiamo che la fantascienza contemporanea immagina intelligenze artificiali basate proprio sui modelli della rete, leggendo Ishiguro abbiamo a volte la sensazione di trovarci di fronte ai robot di Asimov (o forse ancora più indietro, a Pinocchio o al Golem).

Del resto, nonostante abbia all'attivo due romanzi di fantascienza e un fantasy, Ishiguro ha sempre negato recisamente l'etichetta di genere, sostenendo di aver preso dalla narrativa di genere solo alcuni elementi superficiali per scrivere di altro. E forse ha ragione: le sue distopie sono radicalmente diverse da quello che avrebbe scritto un autore di genere (come abbiamo visto a proposito di Non lasciarmi, cfr. Uno sguardo dall'esterno: Margaret Atwood e Kazuo Ishiguro, Delos Science Fiction 210), la vicenda individuale – diremmo umana, nonostante i protagonisti siano cloni e androidi – prevale sulle nozioni scientifiche e sulle estrapolazioni sociali. Rispetto a Non lasciarmi, in cui l'ambientazione ucronica viene svelata gradualmente ma in maniera abbastanza esaustiva, qui il futuro distopico è solo accennato attraverso allusioni dei personaggi in dialoghi che vertono su altro, sta al lettore ricostruire il quadro completo, che comunque rimane marginale rispetto alla storia di Klara e Josie.

Klara e il Sole più che i classici della fantascienza ci ricorda altre opere dell'autore, Quel che resta del giorno, Quando eravamo orfani, lo stesso Non lasciarmi: protagonisti sono esseri diversi, indispensabili ma subalterni, i cui sentimenti devono passare in secondo piano rispetto a quelli dei loro padroni o proprietari. Sopportano con dignità e addirittura accettano come inevitabile il loro destino, ma attraverso loro sguardo altro viene mostrato al lettore il destino di ogni esistenza, quale che sia il suo ruolo nella società.

Diverso è lo stile adottato da Ishiguro: la scelta di un narratore interno artificiale comporta una voce più neutra rispetto al passato, quasi asettica nell'espressione dei sentimenti (che pure Klara prova) e forse per questo ancora più rassegnata al suo destino di obsolescenza; se Kathy H. e Tommy in Non lasciarmi provano almeno a combattere per una piccola conquista individuale, Klara non ha motivo di opporsi al suo compito e accettarne la conclusione.

A dispetto delle intenzioni, ancora una volta il Nobel nippo-britannico ha arricchito la letteratura fantascientifica di un'opera importante, dimostrando che si può scrivere ottima SF anche non accettando le regole” del genere, e aprendo nuove strade agli scrittori che vogliono affrontare un sottogenere ormai abusato come la distopia.