Roberto Quaglia e Ian Watson. Nello scrivere sono decisamente più in sintonia che nel vestire.
Roberto Quaglia e Ian Watson. Nello scrivere sono decisamente più in sintonia che nel vestire.
Cos’è necessario fare, secondo te, per promuovere presso il grande pubblico e al di fuori degli editori specializzati la fantascienza italiana?

Oltre all’attività di promozione che ogni casa editrice fa quotidianamente, direi che intanto un inizio sono gli spazi che nonostante tutto si sono aperti: le interviste ad autori e operatori italiani di RaiNews24, recensori come Daniele Barbieri (il più continuo nell’ultimo paio d’anni, su carta.org e quotidiani vari) e altri, mentre iniziative di vario tipo sono sempre più frequenti (penso agli spettacoli-reading fantascientifici del Teatro India a Roma la scorsa estate). Un inizio di un lavoro che forse non darà frutti nel brevissimo termine, per convincere o ricordare agli operatori editoriali e culturali che il passato e il presente della SF ha una vitalità e una qualità non inferiori ad altri campi della letteratura. E credo anche che ci siano nuovi settori di lettori da coinvolgere. Di certo non dobbiamo aver paura degli adolescenti (di cui sento parlare quasi con vergogna): le nostre letture di Galassia, Robot, Urania non sono cominciate a quell’età? Ed è assurdo dare per scontato che non esistano lettrici di SF: nel ventunesimo secolo, questi pregiudizi si speravano scomparsi; altrove, dagli anni Settanta in poi una delle grandi rivoluzioni della fantascienza è stata quella scritta da donne. E mentre le cosiddette nuove tecnologie penetrano sempre più nel nostro quotidiano, nella vita lavorativa e negli studi, c’è da raggiungere tutta una nuova generazione di lettori possibili.

Ovviamente, molto si baserà sull’immagine di sé che il mondo dei professionisti e degli appassionati di SF sarà capace di proiettare all’esterno. In tutto questo credo che innanzitutto la SF italiana debba guardarsi dentro. Ho un sogno, Carmine. Sogno che il mondo del fantastico italiano riesca ad agire con un atteggiamento di cooperazione, di promozione reciproca fra persone dotate ciascuna della propria voce. Sogno che l’entusiasmo e la capacità di tanti amici trovi sempre una gratificazione umana, al di là di quella economica. Sogno di non iniziare mai più la giornata aprendo qualche blog o forum per trovare anatemi e flame war contro autori, riviste, modi di scrivere, magari per il puro gusto infantile (non oso neppure ipotizzare altre motivazioni) della provocazione alla Pierino. Sogno che nessuno scriva di SF ponendosi come avversario, all’ansiosa ricerca di una magagna che consenta la totale condanna di libri e autori, velleitariamente alla ricerca del capolavoro immortale dietro ogni copertina o provincialmente alla ricerca di una stolida semplicità “all’italiana”, in ambo i casi rifiutando qualunque cosa esuli da idiosincrasie personali spesso disinformate – queste sì, “medie” nel senso più deteriore, mentre invece i professionisti della SF sono quelli che hanno saputo tenersi più lontano, forse pagando un caro prezzo, dal sapore di plastica che lasciano in bocca certi meccanismi dell’industria culturale. Sogno che nessuno pensi di rivolgersi alla SF o a qualche autore con atteggiamento quasi proprietario. Sogno recensioni che apprezzino un testo SF per il suo uso dei protocolli del genere, non perché li “trascende” nel nome di nozioni crocian-gentiliane di letterarietà morte e sepolte da decenni, e che hanno ben poco a che fare con la qualità e la profondità. Sogno di leggere in pubblicazioni specializzate o generaliste recensioni di libri SF scritte da critici che ne conoscono la storia e le tendenze presenti, che non si prefiggano la meta di mettere alla gogna qualcosa o qualcuno senza neppure prima chiedersi cosa volesse dire quell’autore/autrice o quel libro, e cosa ci leggono i suoi lettori, sapendo distinguere fra le diverse componenti (intrattenimento, speculazione, visione, letterarietà) di ogni forma di scrittura. Sogno di poter operare presto in un mondo che abbia come obiettivo comune la costruzione e il consolidamento, anche in Italia, di una scena di operatori competenti che è l’unica cosa capace di ampliare l’interesse. La fantascienza lo merita, e spetta a noi essere all’altezza della passione che ci ha lasciato in eredità Ernesto Vegetti. Come sempre, la mia utopia è nel nome della competenza, della passione e della professionalità. E ora, mentre questo numero è in chiusura, un riconoscimento sta arrivando anche dall’estero, con il BSFA Award per uno dei racconti di Quaglia & Watson: un ulteriore motivo di soddisfazione per il buon lavoro in corso.