È uno dei massimi storici e critici della fantascienza in Italia ed ha avuto il merito di parlare di science fiction all’università, quando era un argomento tabù nel mondo accademico. Fondamentale il suo testo Il Senso del futuro (Edizioni Storia e letteratura, 1970). Stiamo parlando del professore Carlo Pagetti, docente di Letteratura Inglese contemporanea all’Università di Milano. Tra i suoi saggi ricordiamo almeno La fortuna di Swift in Italia (Adriatica Editrice, 1971), Nel tempo del sogno (Longo Editore, 1988) e I sogni della scienza. Storia della science fiction (Editori Riuniti, 1993). Abbiamo intervistato il professor Paggetti, parlando a tutto tondo di fantascienza delle origini, editoria prospettive future del genere.

Lei è uno dei più importanti studiosi di fantascienza ed in particolare del scientific romance, a cominciare da uno scrittore come Herbert George Wells. Quanto è stato importante Wells per lo sviluppo della fantascienza nel Novecento, anche rispetto a Jules Verne e a Edgar Allan Poe, di fatto ritenuti tutti e tre fondatori della science fiction?

Wells ha esplicitato in modo più evidente l’aspetto “immaginario” della scienza. Infatti, all’inizio del Novecento, ci fu una famosa polemica tra lui e Verne perché quest’ultimo si lamentava, giustamente, che Wells non era effettivamente attento alle teorie scientifiche e che s’inventava le cose. Il punto è che Verne aveva ragione: Wells aveva capito che il discorso scientifico stava entrando nella sensibilità popolare. Non è un divulgatore scientifico, ma apre un discorso sull’immaginario scientifico e su quanto quest’immaginario coinvolgeva l’esistenza dei suoi contemporanei. Anche noi siamo continuamente coinvolti nel gioco dell’immaginario scientifico a livello di fantasie, ma anche di paure, di angosce, aspettative. Il rapporto Wells-Verne ci spiega pure alcuni elementi di differenza fra i due. Poe, invece, è un grande scrittore legato esclusivamente ad una visione della letteratura anche in termini di terrore, di angoscia, anche se questo si trova ugualmente in Wells.

Fra i precursori della fantascienza, lei inserisce anche I Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, per quale motivo e quanto è importante quest’opera?

Jonathan Swift è fra i primi che utilizza un metodo narrativo pseudo realistico, cioè per raccontare il fantastico utilizza un linguaggio pseudo realistico. La fantascienza, a differenza della letteratura fantastico, ha bisogno di dare un illusione di verità o di realtà. Illusione che, ovviamente, è subito comprensibile al lettore. La fantascienza deve creare questa cornice di realismo e Swift è forse uno dei primi a creare questo meccanismo realistico, al cui interno poi ci sono tutta una serie di riflessioni sulla società a lui contemporanea, ma anche sul mondo scientifico.

Qual è la sua definizione di fantascienza è quanto stata importante, nel panorama culturale europeo?

La fantascienza è la letteratura dell’immaginario scientifico, una narrativa che crea un rapporto con le problematiche scientifiche, ma le trasforma in finzioni, in narrazione fantastica. È importante perché ha fatto capire quanto il mondo della scienza arrivi all’uomo comune non solo attraverso la tecnologia, ma anche grazie a dei processi immaginativi. La tecnologia produce immaginazione e la fantascienza è un campo dove la tecnologia diventa immaginazione.

La science fiction nasce comunque all’interno della cosiddetta cultura di massa, a partire dagli anni Venti in America e ha sempre avuto un rapporto problematico con la letteratura mainstream. Qual è, secondo lei, la giusta visione di questo rapporto?

È vero, la fantascienza si è sicuramente diffusa nel corso del Novecento come letteratura che aveva delle sue formule, delle sue norme, però queste formule non sono mai state rigide, tant’è vero che la fantascienza ha condiviso parte del suo percorso con il fantastico e l’utopia. La science fiction è così penetrata, a poco a poco, in quella che si chiama letteratura mainstream: molti romanzi postmoderni hanno elementi di fantascienza. Scrittrici come Angela Carter o Doris Lessing hanno, ad esempio, utilizzato tutta una serie di elementi legati alla fantascienza. Il postmoderno ha in qualche modo eliminato quest’armatura del genere della fantascienza, ma ne ha recuperato tutta una serie di potenzialità insiti nei meccanismi narrativi.

A proposito di scrittori di fantascienza e scrittori meinstream, lei sta curando per l’Editore Fanucci tutte le opere di Philip K. Dick, autore che oggi è quasi considerato non più di fantascienza

Dick  ha aperto con la sua narrativa un ventaglio di ipotesi, in cui l’elemento immaginativo-scientifico è sicuramente presente, ma non sempre con la stessa intensità. Se prendiamo, ad esempio, una delle sue opere più famose, La svastica sul sole, dove descrive un’America alternativa e al periodo storico in cui nazisti e giapponesi hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale. Viene da chiedersi è fantascienza? La risposta è: si e no. Dick ha creato tutta una serie di meccanismi narrativi e di ipotesi speculative che sono state poi ripresi dalla cultura contemporanea, basta pensare alla letteratura mainstream e al cinema. Il cinema ha preso - ma anche trasformato, giocato – il ricchissimo materiale immaginativo, chiamiamolo futuristico e tecnologico, di Dick e lo ha usato liberamente, on la libertà della finzione narrativa, direi.

Uno dei più importanti critici nordamericani, qual è John Clute, ha affermato che il cuore propulsivo della moderna fantascienza non è più nella narrativa, ma è in televisione e al cinema? Lei che cosa ne pensa, è d’accordo con Cluthe?

È difficile avere una conoscenza così vasta da confrontare due forme espressive così diverse, ma può essere vero. Il cinema si è ormai impadronito dell’immaginario scientifico da 2001: Odissea nello spazio in poi, e anche la televisione sicuramente con Star Trek che ha utilizzato al meglio e ha anche innovato la fantascienza.