Ma Space Invaders è diventato con gli anni molto più di un semplice gioco. È entrato nell’immaginario collettivo come materializzazione di uno strato subcosciente già presente nella cultura di massa. L’abbattimento continuo e costante di mostri alieni ha reso splendidamente la funzione di catarsi che Wells aveva ben descritto nel suo romanzo, raggiungendo però un numero molto più ampio di persone e con un’immediatezza senza paragoni. Al di là del semplice divertimento, in Space Invaders l’abbinamento mostri da abbattere-punteggio da superare (anche qui, primo videogioco a introdurre questo concetto) rappresenta la costante sfida contro sé stessi nel raggiungimento di un obiettivo, e i mostri da abbattere sono quelli che popolano i nostri incubi, i fantasmi che sbucano dal nostro inconscio per scrutarci maligni dai pixel di un televisore. I saggi, gli articoli e le tesi di laurea sull’argomento si sprecano, per districarsi su una sensazione che anche i bambini riescono a cogliere a livello subliminale. La testimonianza di tutto questo è data dal fatto che Space Invaders ha abbandonato l’ambito videoludico per estendere la sua influenza in altri campi della cultura popolare. Mostre e manifestazioni culturali si sono ispirate alle tematiche del gioco; in Giappone l’Agenzia per gli Affari Culturali ha impostato un progetto basato proprio su Space Invaders, mentre il London Science’s Museum ha inaugurato una mostra sulla storia dei videogame in cui il nostro la fa da padrone.

In campo musicale eventi live sono stati ispirati alla musichetta che accompagnava l’avanzare delle orde aliene, mentre in alcune strade di Avignone, in Francia, fanno la loro comparsa alcuni mosaici che riprendono i mostri alieni in tutto il loro splendore pixelloso. Documentari prodotti da artisti visivi rielaborano sequenze tratte dal gameplay, mentre anche in alcuni serial tv commerciali, quali ad esempio Scrubs, Robot Chicken e Futurama, il gioco è riuscito a fare capolino.

Insomma, Space Invaders rimane un’icona del gaming digitale, simbolo del divertimento immediato ma anche delle potenzialità immense del mezzo elettronico, quando fa da supporto a un’idea di tale potenza. Il programmatore Nishikado è stato successivamente creatore di altri giochi di successo, da Breakout a Arkanoid, ma nessuno ha mai raggiunto le vette della sua prima splendida creatura. La quale nel corso di questi trent’anni è stata riproposta in numerosissime versioni, arricchita di effetti grafici che la moderna tecnologia consente, estesa con una varietà praticamente infinita di variazioni sul tema e sul gameplay, che però non hanno mai intaccato le regole di base. E d’altra parte, quando un semplice meccanismo di spara-spara sopravvive indenne al trascorrere del tempo, delle mode, e all’evoluzione delle tecnologie che tutto fagocita e dimentica, allora si tratta di più di un semplice meccanismo. Come sempre, è la forza di un’idea il motore trainante; una lezione che alcuni game designer di oggi pare abbiano dimenticato. Le cinque ordinate file di mostri alieni scendono inesorabilmente verso di noi, forse non per minacciarci, ma solo per ricordarci questa lezione.