In una puntata del cartone animato Futurama, il protagonista Fry si ritrova a dover combattere una vera invasione aliena in stile Space Invaders, con gli alieni che inesorabilmente scendono dall'alto verso il basso. Fry non riesce a vincere e uno degli alieni, alla fine della partita, gli dice che ha perso perché avrebbe dovuto sparare verso il punto in cui stava andando e non verso quello in cui era.

Space Invaders, il videogioco sviluppato da Toshihiro Nishikado per la Taito nel 1978, compie 40 anni e continua ad imperversare nell'immaginario di tanti ragazzi di oggi, che lo scoprono online su Internet, o in quelli che erano dei ragazzetti brufolosi alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta e che oggi sono adulti (e molto probabilmente sono stati dei nerd).

In cambio di una monetina da 100 yen, i ragazzi giapponesi, per prima e poi quelli del resto del mondo dopo, avevano 3 vite per sparare ad alieni invasori. Giocare a Space Invaders significa manovrare un cannone che si muove solo orizzontalmente e che può sparare un colpo alla volta per colpire file di alieni che scendono dall'alto verso il basso muovendosi da destra a sinistra, che sparano a loro volta. Il giocatore deve distruggere tutti gli alieni e può contare su una serie di bunker che lo proteggono dal fuoco nemico. Il gioco termina quando il giocatore ha eliminato tutti gli alieni o quando gli alieni arrivano al livello del cannone. Ogni tanto in alto passa una navicella, che se colpita fa ottenere al giocatore un bonus di punti. Più alieni vengono eliminati più il ritmo della discesa aumenta.

Space Invaders ha conosciuto un successo senza precedenti, soprattutto quando la licenza è finita nelle mani dell'americana Midway Games, divisione della Bally Technologies.

Con questo videogioco è di fatto iniziata quella che è passata alla storia come l'Età d'oro dei videogiochi, ossia il periodo storico che inizia alla fine degli anni Settanta e termina pressapoco alla metà degli anni Ottanta del Novecento.

È con questo game che di fatto nasce l'industria del videogioco. Lo strepitoso successo determinò la scelta di molte aziende a lanciarsi nella nuova avventura dei videogiochi, ma determinò anche una serie di cambiamenti sociali di non poco conto.

L'industria dei videogame è nata subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando venne brevettato il primo rudimentale videogioco nel 1947, anche se molto probabilmente il suo sviluppo risale all'anno prima. Si trattava di un gioco molto semplice: un lancio di missili per colpire un bersaglio. In quegli anni, laddove fosse presente un centro di ricerca quasi sicuramente c'era anche un computer (va ricordato che all'epoca occupavano una stanza intera) e i programmatori si divertivano ad usare queste macchine per creare dei semplici passatempi. Così nacquero giochi come OXO, nel 1952 all'Università di Cambridge in Inghilterra, una versione elettronica del gioco del tris, o Tennis for Two del 1958, nato a New York per i visitatori di una fiera.

Tuttavia, il primo vero videogioco è stato Spacewar, e come dice il nome stesso era un gioco spaziale in cui due astronavi (e quindi due giocatori) si affrontavano nello spazio.

Da lì in poi è stata un crescendo continuo, con aziende che sono nate e tramontate nell'arco di qualche decennio e con marchi e consolle che entrati nell'immaginario collettivo, come Atari o il Commodore 64.

Ma l'avvento dei videogiochi modificò anche la vita sociale. Il più importante di questi cambiamenti è, probabilmente, che Space Invaders e i suoi epigoni socializzarono molti giovani all'informatica, all'uso di nuove tecnologie. Molti di quei ragazzini che passavano il loro tempo libero – e spesso anche quello dedicato teoricamente ad altre attività, come lo studio e la vita sociale – attraversarono quello schermo nero con fosforescenze verdi, come Alice in Attraverso lo specchio di Lewis Carroll, e diventarono tecnici hardware o programmatori, avvicinandosi e avvicinando tutti noi alla società dell'informazione, d cui oggi godiamo i frutti quotidianamente ancora oggi.

Secondo Steve Jobs (la dichiarazione è riportata dallo scrittore Martin Amis nel suo libro L'invasione degli Space Invaders, ISBN Editore, 2013): “I computer rappresentano una vetta tra le più alte del pensiero occidentale. Uniscono fisica, elettronica, chimica e matematica a logica, filosofia e teoria dell'informazione. E gli individui che lavorano con i computer hanno un'enorme passione per la scoperta e l'innovazione […] hanno la stessa purezza di spirito dei monaci”.

E la tecnologia che si celava dietro un alieno verde o una creatura a forma di palla che mangia fantasmi era molto più sofisticata di altre che venivano sviluppate nei centri di ricerca pubblici e privati dell'epoca.

Quei ragazzini, dunque, una volta cresciuti ed entrati nel mondo del lavoro, hanno probabilmente immesso una maggiore dose di innovazione e creatività rispetto ai loro predecessori di qualche decennio prima, ma anche una certa attitudine ad affrontare i problemi e a risolverli.

Prendiamo Space Invaders. Il giocatore si trova davanti a dei nemici. È solo. Sa che non può evitarli, ma che può solo affrontarli e distruggerli, prima che anche uno solo di loro scenda dall'alto per arrivare al suo stesso livello e vincere la partita. Più nemici si distruggono più la velocità con la quale scendono aumenta. E il gioco continua, livello dopo livello, sempre uguale ma anche più veloce ed intenso.

È una metafora del mondo del lavoro, del risolvere problemi in una società che ti incalza e chiede risposte, in modo sempre più rapido ed efficace.

Lindsay Grace, professore e fondatore dell'American University Game Lab and Studio, in un articolo apparso di recente sulla rivista “The Conversation”, ha letto Space Invaders come la metafora delle tensioni fra Stati Uniti e Giappone. Da una parte un modello di vita e di lavoro che guardava all'emancipazione del singolo come punto di partenza per lo sviluppo di tutta la società (detto in altri termini il classico “sogno americano”) e dall'altro lato c'era un modello lavorativo e sociale che si fondava sulla collettività, più che sull'individuo. Da un lato l'uomo al comando del cannone e dall'altro gli alieni invasori. Ma quelli erano anche gli anni dell'inizio della globalizzazione e di tutte le sue contraddizioni. Space Invaders era stato creato da una piccola azienda giapponese e da un allora trentaquattrenne game designer, ma il successo del gioco a livello globale si deve alla società americana Midway Games, che comprò la licenza per poterlo distribuire.

Negli Stati Uniti, la società Atari propose sulla sua consolle il gioco e l'atari 2600 divenne una delle consolle più vendute al mondo proprio grazie a Space Invaders. Tecnologia americana (hardware) e creatività giapponese (software). In un continuo gioco di rimandi, va detto che Toshihiro Nishikado, il creatore del gioco, si rese conto che nessuna tecnologia dell'epoca era in grado di supportare il game e allora ne creò una lui, utilizzando il processore Intel 8080, quindi tecnologia americana.

Space Invaders ha anche generato una serie di leggende, la maggior parte delle quali era falsa. Ad esempio, si parlò di una carenza di monete da 100 yen in Giappone, per via del fatto che tutti le usassero per giocare. Ma la “fake news”, come si direbbe oggi, è presto confutata dal fatto che le monete venivano messe in circolazione nuovamente, una volta che erano state introdotte nel cabinet per dare il via ad una partita.

Ancora, si parlava di file di ragazzetti per giocare, ma non era vero. In realtà Space Invaders è stato il primo videogioco in cui altri giocatori restavano a guardare la partita intorno al cabinet.

Sempre in Giappone, pare che un ragazzino di 12 anni fece una rapina in banca, chiedendo non banconote ma solo monete. Il motivo era che doveva giocare a Space Invaders.

Sicuramente per molti giovani di allora, Space Invaders diventò una sorta di ossessione, di droga virtuale, che ha ben descritto Amis nel suo libro. Oggi prevale la nostalgia, tanto che il gioco si è spostato sui telefonini cellulari, sui tablet e diventa un modo per guardare ad un passato mitico, quello di quando tutto il mondo doveva essere salvato ad ogni costo da un'invasione di alieni provenienti dallo spazio profondo.