Come al solito Taylor se ne andò per i fatti suoi, ma nessuno se la prese per questo. Credo, anzi, che fosse il segreto desiderio di tutti rimanere soli su Magellano 7. Almeno un po’ soli, se capite cosa intendo. Soli tra gente che, forse, non è sola, e che se anche lo è, lo è in maniera diversa da noi lassù, e che se la incontri e ci parli e ci vai a letto, ti regala qualcosa di più della solita manciata di solitudine. E’ un po’ difficile, lo so, ma è così.Dopo Taylor se ne andò anche Braddy, beato lui. Così rimasi insieme a Jones, il mio angelo con le tette e un’identità tutta da stabilire.— Che facciamo? — mi chiese prendendomi sottobraccio.

Avevo voglia di una cosa soltanto, ma non ero certo che lei sarebbe stata in grado di capirlo. — Vorrei camminare — le spiegai inspirando. Ormai l’odore di colla di pesce se n’era andato giù nei polmoni e l’aria sapeva quasi di buono ed era fresca, invitava a una lunga passeggiata.

— Ma pioverà — disse Jones indicando le nubi. Si accavallavano sopra di noi senza far rumore, quasi irreali.

— Anche se fosse, da quanto non assaporiamo un po’ di pioggia? — Era una bella domanda e nemmeno io sapevo da dove fosse saltata fuori. Quanta confusione, dentro di me.

— Come vuoi — assentì Jones indicando da una parte. — Va bene di là?

Sollevai le spalle e ci avviammo nella direzione che aveva scelto. Camminammo lentamente, in silenzio pensoso e ogni tanto ci fermavamo a guardare le nubi e il profilo della City che rimpiccioliva dietro di noi, man mano che salivamo la collina.

— Io lo so perché ti piace — disse Jones ad un tratto.

— Come? — trasalii, perduto tra i miei pensieri.

— Ho detto che lo so perché ti piace tanto camminare.

— Ah, sì?

Jones sorrise e annuì. — Non credere di essere il solo a provare certe sensazioni. Lo spazio ci prende tutti, e io non sono diversa da te o dagli altri… dentro, capisci? So cosa significa sentirsi prigionieri dell’astronave.

La fissai per un po’, i suoi grandi occhi chiari riflettevano lo scorrere delle nuvole come un rapido dipinto a spruzzo. Riprendemmo a salire e io a pensare alle sue parole. Non esprimevano niente che già non sapessi, eppure era come se Jones avesse voluto rivelarmi qualcosa, e mi domandavo cosa.

Arrivati su un pianoro erboso, dominato da un solitario albero ricco di fronde, Jones disse: — Fermiamoci qui, ti va?

Guardammo lontano, dentro di noi, e io scopri qualcosa dentro di me, una specie di ricordo disegnato su tela con i colori ormai sbiaditi e i contorni sfumati… Quel disegno somigliava alla Terra, un poco soltanto.

— Mi domando chi sei — fece Jones slacciandosi il primo bottone della camicetta. — Non che non lo sappia, te l’ho detto… Ma mi domando chi sei quando dormi, quando sei da solo nella vasca ibernante e tutto l’Universo si riduce a te e ai tuoi sogni che non potrai mai ricordare —, e si slacciò anche il secondo bottone e poi il terzo e poi il quarto e poi le sue grandi tette esplosero fuori e io dissi:

— Mi piacerebbe scoprirlo. Ma dovrei essere sveglio in quei momenti per annotarmeli, e così forse non lo scoprirò mai…