1. Paura della Bomba

Quando partono le sirene, Gregor sta dando da mangiare ai piccioni nel parco.

È un uomo di circa quarant’anni, dalle spalle curve avvolte in un abito scuro, magro e dal colorito pallido, non ci presta inizialmente attenzione, rapito com’è dagli uccelli. È fermo sul lato del sentiero asfaltato, circondato di erba umida che sembra spruzzata di polvere di cemento, e si fruga nella tasca esterna dell’impermeabile alla ricerca di un’ultima manciata di croste di pane secco. Piccioni di città, sporchi e neri di sudiciume, dalle zampe malformi, duellano con le pasciute colombe dal collare bianco, contendendosi a suon di beccate i bocconi migliori. Gregor non sorride: ciò che per lui è solo una manciata di pane raffermo, per quegli uccelli è una questione di vita o di morte, di mera sopravvivenza. La lotta aviaria per la sopravvivenza va in parallelo con la condizione umana, medita. È tutta una questione di risorse limitate e di trovarsi al posto giusto al momento giusto. Di un intervento di agenti al di fuori della comprensione dei loro piccoli cervelli di volatili, che lasciano cadere il bocconcino per cui combattere. In quel momento risuonano le sirene di incursione aerea.

I piccioni si sparpagliano verso il riparo offerto dagli alberi, con uno schiamazzante turbinio d’ali. Gregor si tira su e si guarda intorno: non si tratta di una sola sirena e non è un test. Un poliziotto in bicicletta pedala verso di lui lungo la stradina, facendogli cenno con una mano. – Tu, là! Mettiti al riparo!

Gregor si volta e mostra il suo tesserino identificativo. – Dov’è il rifugio più vicino?

Il conestabile indica un bagno pubblico a una trentina di metri. – È là sotto. Se non ce la fai a raggiungerlo in tempo, nasconditi dietro il muro a est; se ti sorprendono allo scoperto, buttati a terra e riparati sotto il cespuglio più vicino. Vai ora! Il poliziotto salta di nuovo sulla sua antiquata bicicletta nera e subito sparisce lungo il vialetto prima che Gregor possa anche solo abbozzare una replica. Scuotendo la testa, si incammina verso il gabinetto pubblico e ci entra.

È una mattina di inizio primavera di un giorno lavorativo e l’inserviente del bagno pubblico sembra prendere l’emergenza come un commento personale riguardante la pulizia dei suoi sanitari. Saltella su e giù molto agitato mentre spinge Gregor giù per la scala a chiocciola dentro il rifugio, quasi fosse un piccolo troll in divisa blu che riempie la sua dispensa. – Tre minuti! – grida il troll. – Reggetevi forte fra tre minuti! Quanta gente in uniforme c’è a Londra in questo periodo, riflette Gregor. È come se credessero che, interpretando correttamente il loro ruolo in tempo di guerra, fosse possibile ridurre l’ineffabile nelle loro aspettative di un nemico umanamente comprensibile.

Un doppio scoppio lacera l’aria sopra il parco e riecheggia lungo la scala. Saranno intercettori della RAF o dell’USAF partiti dalla grande base di caccia vicino a Hanworth. Gregor si guarda intorno: un paio di rozzi giardinieri sono seduti sopra una panca di legno all’interno del corridoio in cemento armato del rifugio, mentre appoggiato al muro c’è un tipo della City in abito elegante, che giocherella irritato con una sigaretta spenta, mentre fissa il cartello VIETATO FUMARE. – Che cavolo di rottura di scatole, eh? – ringhia rivolto a Gregor.

Gregor ricompone la sua espressione, con un sottile sorriso. – Non ho commenti da fare – dice, con l’accento ungherese che tradisce il suo status di rifugiato. Un altro boom sonico scuote gli orinatoi, segnalando il passaggio di altri caccia. Quell’appariscente uomo d’affari deve essere il suo contatto, Goldsmith.

Getta lo sguardo verso il contatore del rifugio: il quadrante ruota lentamente, segnalando una chiara assenza di radon e di fallout. È tempo di parlare del più e del meno, un reciproco spulciarsi verbale fra due primati: – Accade spesso?

Il gorilla manageriale si rilassa e ridacchia fra sé. Deve aver etichettato Gregor come un ospite proveniente da quegli strani lidi, i nuovi territori d’oltremare dove la NATO aveva collocato la nuova ondata di profughi cacciati dai comunisti. Tenuto conto della copia del Telegraph e della cravatta a strisce che Gregor indossa, l’uomo dovrebbe aver capito cosa egli rappresenti per lui.

– Certo che ce ne hai messo di tempo per arrivare quaggiù. Vieni spesso in visita al fronte, vero?

– Sono qui con te in questo bunker – Gregor alza le spalle. – Non esiste una linea del fronte su di una superficie circolare. – Si mette a sedere sulla panca davanti all’uomo d’affari. – Sigaretta?

– Se non ti dispiace, accetto. – L’uomo d’affari prende il portasigarette di Gregor con un gesto affettato: accettata la simbolica offerta di pace, siedono in silenzio per un paio di minuti, in attesa di scoprire se si è levato il sipario sulla Quarta Guerra Mondiale o si tratta per adesso solo di un trailer.

Un suono diverso scivola giù per la scala, una sorta di trillo che in questi giorni indica il via libera: i bombardieri sovietici si sono nuovamente diretti verso casa loro, dopo aver fatto ancora il solletico al lacero moncone della coda del leone.

Il troll del bagno pubblico si precipita di corsa giù per le scale, mulinando le braccia verso di loro: – Non si fuma nel rifugio anti-atomico! – urla sguaiatamente. – Fuori! Fuori, ho detto!

Gregor si incammina di nuovo attraverso Regent Park, per completare la distribuzione delle sue briciole di pane secco e trasferire al suo ufficio il contenuto del portasigarette. L’uomo d’affari non lo sa ancora, ma sta per essere arrestato e la sua combriccola di inglesi nazionalisti/neutrali internata; nel frattempo Gregor sarà richiamato a Washington DC. Questa è la sua ultima visita, almeno per questo compito particolare. Si prevedono tempi grami per le colombe.