Perdonato. Ma cosa ti attraeva in questo argomento?

Quello che affascina tutti gli scrittori di questo nostro genere: i “se”. In Terre accanto, mi chiedevo: come sarebbe il nostro mondo oggi, se... Qui, mi chiedo: come avrebbero reagito i nostri antenati se si fossero trovati di fronte a qualcosa che superava di molto non solo la normalità, ma addirittura ogni loro schema mentale? Io ho scommesso su di loro: gente capace di inventarsi la Summa Theologiae, e l’amor cortese, i bottoni e gli occhiali da vista, di andare a piedi da Venezia a Pechino e di scoprire la Groenlandia, aveva un signor cervello, ma soprattutto non aveva paura di niente al mondo. Per non parlare di quei tipi alla Jules Verne, che fondavano imperi, scoprivano i segreti dell’evoluzione e giravano il mondo in ottanta giorni. Ma anche un ingegnere americano che si manteneva agli studi scrivendo romanzi di fantascienza, paracadutato tra le nebbie della Padania misteriosa, può rivelarsi un uomo di genio e di fegato.

Quindi, il centro del romanzo non è il fatto, ma i personaggi che ruotano intorno ad esso?

Diciamo che il cuore pulsante del romanzo è il muto protagonista, l’oggetto misterioso sepolto alcuni metri sotto il fondo della palude, attorno al quale si arrabattano gli umani nel corso dei secoli, cercando di dar sempre nuove spiegazioni all’inspiegabile. Il che non toglie che i personaggi non sono soltanto pedine del gioco, ma hanno una loro individualità, a volte anche molto ben caratterizzata. Se vuoi, costituiscono dei sempre nuovi “centri di aggregazione” della vicenda.

Ti premetto che non sono d’accordo, ma qualcuno tra i lettori ritiene che nella fantascienza italiana, o almeno nel Premio Urania ci sia una netta preponderanza della storia: viaggi nel tempo, riferimenti ad avvenimenti accaduti nel passato. Ti sembra che sia vero? E se sì, qual è il motivo che secondo te spinge gli autori italiani a guardare all’indietro?

E io mi chiedo: perché mai una vicenda di fantascienza deve essere ambientata proprio nel presente o nel futuro? In fondo, quello che importa è il tema che vogliamo sviluppare, non i panni che vestono i nostri eroi, che possono essere i jeans come il cilindro. Comunque, non sfuggo alla domanda. Io mi sono laureato con una tesi in storia antica e scrivo anche saggi e romanzi storici, quindi è comprensibile che la storia mi scappi fuori da tutte le parti. Per quello che riguarda il presente romanzo, ricordiamo però che in buona parte è ambientato in un periodo relativamente vicino a noi, quando, per esempio, già esisteva la fantascienza. Oh, numi! Adesso che mi ci fai pensare, uno scrittore che ambientasse la sua vicenda negli anni ‘50 o ‘60, farebbe un romanzo storico? Ti prego, dimmi di no, perché sono nato nel ‘53…

Va bene, questo per te, ma secondo te qual è il motivo che spinge altri autori italiani di fantascienza ad attingere al passato?

Perché gli anglosassoni hanno manifestato, negli ultimi 70 anni, un interesse vicino all’ossessione per gli antichi romani, nei romanzi e nei film? È evidente che, fra un impero in decadenza (quello britannico) e uno in formazione (quello americano), il modello di Roma esercitava – e continua a esercitare – un considerevole fascino. E così, repubbliche planetarie che si evolvono in imperi galattici e imperi che decadono e crollano sono diventati ingredienti tipici di quella fantascienza. La storia ha offerto alla fantascienza doni copiosi: eroi barbarici, malinconie nordico-medioevali, scontri di civiltà, colonialismo, guerre di liberazione, lotta di classe. Figli, o comunque figliastri, partoriti dalla storia a beneficio della fantascienza sono i fiumi della vita, dove si danno appuntamento i morti famosi di tutti i tempi, ovviamente i viaggi nel passato, le varie Atlantidi… E in fondo è normale che sia così, perché lo scrittore colloca nell’altrove spaziale e temporale quello che la storia gli ha lasciato come esperienza. Venendo più nello specifico a noi italiani, potremmo, certo, parlare delle vestigia storiche che la nostra penisola conserva ovunque si volga lo sguardo e che costituiscono il naturale sfondo per qualunque racconto di invenzione; aggiungiamo che la nostra formazione scolastica superiore, tanto umanistica quanto scientifica, risente di una impostazione di tipo storicistico. Sono spiegazioni ragionevoli, ma lasciami concludere con una ipotesi che giudicherai magari strampalata...

Sentiamo…

Se è vero che la storia la fanno i vincitori, è altrettanto vero che sono i vinti a ispirare la poesia: dalla morte di Ettore a Via col vento, si tifa istintivamente per chi è preso a bastonate dal destino. Ebbene, la storia d’Italia è, o almeno appare a molti, un tristissimo rosario, che ha sgranato sventure, eroismi inutili, difese disperate, vittime su cui nessuno ha mai potuto o voluto versare una lacrima, sconfitte senza appello. Riscrivere la storia, modificandola con il viaggio nel tempo o riplasmandola in un universo parallelo, è un modo per dare voce alle ragioni dei vinti, ponendoli, almeno nella dimensione dell’invenzione fantastica, nell’inedito ruolo di vincitori. Non è un caso, a mio parere, se uno dei momenti della storia che tutti i romanzieri di altrastoria vorrebbero evitare o aggirare, è l’8 settembre, uno dei giorni più tristi della nostra vita nazionale.