Questa volta ho deciso di pubblicare un racconto ripescato dalla selezione nuovi autori, la rubrica di Delos ormai praticamente accantonata. L’ho fatto perché il racconto mi ha colpita, per diversi motivi: innanzitutto, è breve, condensato, non si perde in descrizioni o divagazioni personali; ha richiami scientifici, ma non insistiti, solo usati come presupposto della storia; pur non originalissimo di per sé, riesce comunque a suggerire, se non un quadro, almeno qualche pennellata di futuro, credibile o simbolico che sia; lo stile poi è buono e la scrittura curata. Insomma, vedete un po’ voi: io l’ho trovato interessante.

L’autore si chiama Giovanni Strona, è giovane, ha 23 anni, un diploma di maturità classica e una laurea di primo livello in Scienze Ambientali conseguita nel 2002. È laureando in Biologia, e in attesa di iniziare un dottorato di ricerca. Inviandomi il racconto si chiedeva: è possibile creare esseri umani migliori di noi? – Milena Debenedetti.

Reality Show

Nessuno avrebbe pensato che sarebbe accaduto di nuovo. O forse sì, ma nessuno lo fece e, se anche fu, se lo tenne per sé. Perché Meg era durata troppo poco, e la gente voleva vedere. Ne aveva il diritto. Meg era stata la prima. C’era da metterlo in conto che qualcosa sarebbe potuto andar storto. Lei si chiamava Cristine. La bambina numero due, intendo. Non assomigliava per nulla a Meg, ed era naturale. Dopo il fallimento della prima serie, la Twinclone Corporation era finita sotto processo, e la BBC aveva deciso di cambiar aria. Si era rivolta ad una compagnia britannica, la Endless, commissionandole un esemplare che fosse il più lontano possibile dal modello Meg. A livello molecolare non c’era problema. All’epoca nessuno dei giganti dell’industria della clonazione conosceva le ricette magiche della concorrenza. E’ un po’ come la storia della Pepsi. Sa di Coca, c’è addirittura chi la ritiene superiore, ma, a ogni modo, è un’altra bibita. Le probabilità che i DNA delle due bambine si assomigliassero di più del DNA di due persone qualsiasi erano infinitesimali. Però al pubblico non sarebbe andato giù di ritrovarsi davanti agli occhi un’altra riccioli d’oro come Meg. Non dopo che avevano avuto modo di apprezzarne nel dettaglio la materia cerebrale. Direttamente sul vostro teleschermo. Lato interno, per la precisione.Qualcuno s’era addirittura preso la briga di stilare la percentuale di telespettatori che non avevano avuto abbastanza stomaco da trattenere il loro tv-dinner. Alla fine era venuto fuori che nel solo stato di Washington, nei dieci minuti successivi all’esplosione della testa di Meg, era stato prodotto abbastanza vomito da riempirci un’intera piscina olimpionica.Fatto sta che i capelli di Cristine erano neri e lisci quanto più non si poteva desiderare, e i suoi occhi nocciola non avevano nulla del verde di quelli di Meg, quello stesso verde che aveva lasciato il pubblico con addosso la sgradevole sensazione di sentirsi osservato, la sera prima che succedesse il casino.

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Gli esperti ritenevano che la causa del “malfunzionamento” di Meg fosse da ricercarsi in una sorta di mancato imprinting parentale. In altre parole, era stato trascorrere il suo primo anno di vita in laboratorio, che le aveva fottuto il cervello. Ma non c’era stata alternativa. Prima di Meg erano pochi quelli che credevano nel free-cloning. Come si faceva a pensare che fosse possibile una clonazione che non aveva bisogno di cellule somatiche, o di madri surrogato?

Era possibile e, a mio parere, continuavano a chiamarla clonazione solamente perché “creazione” non era una definizione che sarebbe andata giù liscia, in certi ambienti.

I nucleotidi non li abbiamo mica inventati noi.

Era così che si era giustificato il professor Whittington di fronte a chi lo accusava di stare giocando a fare Dio. Non reggeva molto, come scusa. Era un po’ come dire che una casa la costruisce chi fabbrica i mattoni. E Whittington non stava solo giocando.

Comunque sia, dopo Meg, il muro di scetticismo era crollato, e la domanda da quel momento non era più stata si può fare?, ma era diventata cosa ce ne facciamo, adesso? Della bambina, ovviamente.

Ancora prima che fosse uscita da quello che la stampa aveva confidenzialmente definito “l’utero”, una marea di associazioni di varia natura aveva intrapreso un’azione legale collettiva per stabilire a chi di fatto appartenesse la bambina.

Era stato circa otto mesi dopo l’inizio del processo, che era venuta fuori l’idea. Non si seppe mai con certezza chi fu ad averla, e la BBC non si sentì in dovere di indagare all’atto di impadronirsene. Ci vollero dieci settimane perché tutto fosse pronto.

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I più sostenevano che la prima edizione dello show venisse trasmessa da qualche parte nel Colorado, ma erano solamente voci di corridoio. La produzione aveva mantenuto il più completo riserbo sulla località, e aveva adottato i mezzi più disparati per mettersi al riparo dai ficcanaso. Il timore più grande non era che Meg si chiedesse cosa c’era fuori dalla casa. Per quello che ne sapeva lei, non c’era nulla, fuori. No, la vera paura era che un esterno potesse trovare il modo di introdursi, e rovinare tutto.

Personalmente mi sono fatto l’idea, e non chiedetemi come, che la casa fosse sottoterra, in qualche specie di bunker. Nel deserto Mojave, forse, e credo che sia stata la stessa cosa anche con Cristine, però non posso assicurarvelo. Ho seguito molto poco della seconda serie. Mi era bastata la prima.

Avevo buttato giù due conti, a una settimana di distanza dalla morte di Meg. Degli ultimi tredici anni almeno uno e mezzo se n’era andato davanti alla tv. Mi sembrava abbastanza e poi, a parte Cristine, non c’era nulla di nuovo nello show. Anche i finti genitori sembravano la copia sputata di quelli vecchi.

Mi ero presentato anch’io alla selezione, la prima volta. Per curiosità, più che altro. Mezza America si era messa in fila. Avevo più possibilità di vincere la lotteria che di venir scelto e, in un certo senso, sarebbe stata la stessa cosa. Se tutto fosse andato come doveva andare, al diciottesimo compleanno di Meg c’erano dieci milioni di dollari ad aspettare il suo finto padre e la sua finta madre. Ma anche se la parte fosse toccata a me, non sono così sicuro che avrei firmato il contratto. Non so se dieci milioni valgano tutti quegli anni sotto terra.