L'uomo anfibio di <i>Waterworld</i>
L'uomo anfibio di Waterworld
L'uomo potrebbe vivere, addirittura respirare sott'acqua? Abbiamo lontani progenitori provenienti da paludi, l'acqua è una principale componente del nostro corpo, plasma del sangue e liquido cellulare hanno somiglianze con l'acqua di mare. E in un certo senso il feto vive da anfibio immerso nel liquido placentare, anche se non utilizza i polmoni e ricava ossigeno da cordone ombelicale e placenta. L'embriologia comparata evidenzia che gli "archi branchiali" sono presenti negli embrioni di uccelli, rettili e dei mammiferi (in questi ultimi si atrofizzano precocemente). Insomma nell'uomo c'è un antenato pesce e ne conserviamo tracce. Dunque il terreno è fertile: potrà la futura ingegneria genetica evitare l'atrofizzazione degli archi branchiali umani e creare un uomo anfibio, con branchie e polmoni? Naturalmente molti altri parametri corporei andrebbero ristrutturati, o creati. L'acqua marina mal si addice all'uomo: rischi di embolie, problemi agli occhi, alla pelle; occorrerebbe brachicardizzare l'individuo (battito cardiaco lento) concentrando il sangue negli organi vitali per evitare l'assideramento; e dunque necessità di riscaldare organi periferici, pelle, arti, ed è solo una minima frazione degli handicap più immediati: ma siamo certi che un team di futuri e attrezzati ingegneri genetici, se ben motivati, risolverebbe il compito. "Homo Delphinus"? Per ora solo un'ipotesi ma, crediamo, non assurda. Nel controverso film Waterworld (1995, regia di Kevin Reynolds; con Kevin Costner e Dennis Hopper) la Terra è stata completamente sommersa dagli oceani; la popolazione vive con gran disagio su piattaforme galleggianti in lite tra loro per la sopravvivenza, e le nuove esigenze provocano mutazioni: il protagonista è un uomo anfibio, con branchie dietro le orecchie. Naturalmente la fantascienza pullula di storie ambientate in mare: La città degli abissi di F. Pohl e J. Williamson (1955, Urania n. 106); Figli dell'abisso di Bryce Walton (1955, Urania n. 95); I guardiani del mare di Arthur C. Clarke (1962, Urania n. 278); Schiavi degli abissi (1959, Urania n. 214); tra i più recenti il mediocre Universo sul fondo di Allen Steel (2001, Urania n. 1411) e soprattutto il notevole Stelle di mare di Peter Watts (2001, Solaria Fanucci n. 8); ma in queste opere sono descritte soprattutto esplorazioni degli abissi o vita degli umani in città sub-oceaniche protette da cupole: si nota insomma (e lo denunciamo qui) una deprecabile carenza di autentici "uomini-pesce"... (fatta doverosa eccezione per il celebre Mostro della laguna nera dell'omonimo film, ovviamente; regia di Jack Arnold, 1954)

Evoluzione e vita sono sempre state condizionate da un elemento: la forza di gravità, e ci si chiede se l'uomo riuscirà a prescinderne per conquistare lo spazio o altri pianeti. Nelle astronavi si può simulare una forza gravitazionale facendo ruotare la struttura su se stessa; su altri pianeti (Luna, Marte) la gravitazione è bassa e varia secondo la grandezza del corpo celeste. Insomma, fuori del suo mondo l'uomo troverà, come nel mare, un altro ambiente fortemente ostile. Una spedizione verso Marte durerebbe mesi (per riferirci al pianeta più vicino). Gli effetti di un'assenza o riduzione della gravità sono stati studiati in lanci, prove a terra, missioni Apollo e soprattutto nelle stazioni spaziali: i dati emersi sono poco confortanti. Gli astronauti in orbita per alcuni mesi hanno trovato serie difficoltà nel riabituarsi alla vita terrestre, e sono stati subito ricoverati in centri specializzati: gambe indebolite, cuore tachicardico; alcuni camminano piegati in avanti credendo di star diritti. Variando la gravità il sangue si distribuisce diversamente, irrora poco le gambe e causa rigonfiamenti al viso, muta addirittura la sua composizione: meno globuli rossi, globuli bianchi modificati; il cuore diventa brachicardico. Uno degli astronauti andati sulla Luna, al rientro manifestò conseguenze gravi al sistema cardiovascolare e due anni dopo ebbe un infarto. Lo scheletro perde calcio; al ritorno sulla Terra cresce il rischio di fratture e la riabilitazione può durare mesi. Anche la muscolatura s'impoverisce, anzi si rischia l'anemia muscolare. Si confondono i bioritmi, la minor gravità comunica un pericolosissimo senso di euforia che fa minimizzare i pericoli, le immagini mentali subiscono un degrado: neanche i sogni degli astronauti sono più gli stessi di prima.