Neil Stephenson
Neil Stephenson
Smith narra d'un lontanissimo futuro, e certe sue apparenti manchevolezze linguistiche o buchi creano in realtà una struttura di pensiero e di rapporto col reale davvero aliena. Un accenno allo sfondo: la specie umana, dopo varie vicissitudini (guerre, esodi su altri pianeti con astronavi dalle vele immense, ricostruzione dell'umanità sotto le ali di un'aristocrazia - la Strumentalità - che si è allontanata dall'uomo comune, ma poi cercherà di riavvicinarlo per scoprire sentimenti e dolore; acquisizione di una specie d'immortalità, avvento della telepatia, e altra roba, non sono che uno scenario fantastico nel quale peraltro assume - molto in anticipo sui tempi della fantascienza - nuova rilevanza il "corpo".

Ciò si esplicita in variegate modalità: da astronauti Controllori che devono vivere denervati, a Comandanti di astronavi che invecchiano più dei loro passeggeri e così via; ma soprattutto attraverso la creazione di "homunculi", gli underpeople: animali, e specialmente felini, modificati biologicamente per somigliare agli umani e poter comunicare con loro, ma privi di alcun diritto civile. Secondo Giuseppe Lippi (vedasi la sua prefazione al volume di Smith Norstrilia, nei Classici Urania n. 145, 1989) l'underpeople non è che "un'estensione fiabesca della terribile idea di Wells" (il Wells, ricordiamo, dell'Isola del dottor Moreau). Alcune delle storie più ricche e toccanti di Smith sono proprio quelle basate sugli underpeople (come La ballata di G'mell perduta, o Nostra Signora degli Alieni); ma non posso, parlando di questo scrittore, non citare uno dei racconti più belli dell'intera fantascienza, Alpha Ralpha Boulevard. Autore insolito, originale, talora oscuro e involuto, negli anni '50-60 Smith anticipò numerose tematiche che ci interessano in questa sede, pur concependo un futuro che non sembra una vera e propria estensione della nostra realtà, perché nell'accumulo di materiali anche eterogenei perviene più che altro a uno spessore mitico.

Resterebbe da dire sulle nanotecnologie. L'entusiasmo di scienziati continua a crescere, benché agli inizi questa nuova branca, suggerita per la prima volta nel 1969 dal famoso fisico Richard Feynman e ripresa entusiasticamente da Eric Drexler, teorico della costruzione di computer miniaturizzati grandi quanto una molecola, abbia dovuto lottare contro l'incredulità degli strepitosi risultati promessi, e soprattutto abbia segnato il passo per l'esistenza d'una tecnologia ancora estremamente carente per certe micro-realizzazioni. Ad ogni modo, pare ormai assodato che il futuro dell'umanità sarà anche nella nanotecnologia. Macchine microscopiche capaci di autoreplicarsi, di inserirsi nel corpo umano per eliminare ogni cellula malata o abnorme, di diffondersi come la peste in territori nemici, di "creare" oggetti multiformi apparentemente dal nulla ma sulla base di microistruzioni implicite come un Dna, e così via, rappresentano un settore di grandi promesse ma al contempo estremamente delicato (c'è chi già lancia accorate grida d'allarme contro micro-oggetti che potrebbero in pochi giorni distruggere letteralmente il pianeta). Credo che sull'argomento uno dei romanzi più istruttivi, interessanti e impegnati sia L'era del diamante (edizioni Shake, 1997) di Neal Stephenson (noto anche per il megaromanzo Cryptonomicon). Nella sua struttura, nella "durezza" del tema, della tecnica narrativa-informativa, nella capacità di tratteggiare dettagli di un panorama nuovo e sconvolgente, L'era del diamante ricorda a tratti la fantascienza di Greg Egan.