Nato nel 1933 nell'attuale Zambia, laureato in scienze commerciali, sposato quattro volte, il Nostro vive a Città del Capo, nella casa che fu addirittura di sir Cecil Rhodes (se non sapete chi è sir Rhodes, andatelo a cercare su Google, brutti ignoranti!). Esperto di storia sudafricana, plurilingue (parla l'inglese, l'Afrikaans, lo Zulu e altri dialetti africani), Smith iniziò a lavorare come contabile, ma presto scoprì che la sua vera strada era la scrittura. Esordì con "Il destino del leone" (opera prima e già best-seller, accidenti a lui!), e da allora ha proseguito con una trentina di romanzi, tra cui citiamo "Monsone", "La voce del tuono", "Come il mare", "Il dio del fiume", "La notte del leopardo" e "Figli del Nilo".

Negli anni ha venduto oltre 80 milioni di libri (molti dei quali in Italia, ove viene spesso). Sembra che i suoi lettori siano in maggioranza donne, forse perché i protagonisti dei suoi romanzi (in genere saghe familiari di più generazioni) sono usualmente superuomini virili, eroici, vincenti e cazzuti, tratteggiati con evidenti concessioni all'immaginario romantico (erotico?) femminile.

Wilbur Smith è uno straordinario celebratore di una realtà di per sé estremamente letteraria: la grande Africa dei colonizzatori bianchi. La quasi totalità dei suoi romanzi condivide infatti uno scenario comune, che poi sono i luoghi ove Smith ha vissuto e che ha amato: le colline del Natal, i monti Drakensberg, le miniere del Transvaal, la foresta, la savana, l'oceano, i deserti, i grandi fiumi africani. Idem per i temi trattati, che sono pressoché invariabili, combinazioni lineari di elementi forti e primordiali quali il coraggio, l'amore/odio, la guerra, la caccia, le grandi avventure individuali, l'esplorazione e la conquista di terre esotiche, la gelosia e il tradimento.

Riguardo al suo stile, non c'è molto da dire, se non che passa del tutto il secondo piano rispetto alla potenza della trama, e questo sia per scelta consapevole che come risultato di una celerità di produzione letteraria che ha pochi uguali nel panorama degli autori odierni (verrebbe subito da pensare a King, se non fosse che il suddetto Stefanino ha affermato pubblicamente di aborrire lo stile di Smith).

Azzardando paragoni italici, forse l'autore più simile a Smith che è possibile rintracciare nel nostro misero cortile letterario è Emilio Salgari. Indubbiamente, nei romanzi di Wilbur Smith riecheggiano poderosi echi salgariani, e viceversa. Con due importanti differenze: la prima è che il nostro Emilio, al contrario di Wilbur, in realtà non visse mai nei luoghi esotici che descrisse; la seconda, molto più importante, è che Salgari morì in miseria, maledicendo gli editori che lo avevano sfruttato. Wilbur Smith è su tutt'altra strada: non sappiamo se qualche editore abbia mai tentato di truffarlo, ma certo, se ciò è avvenuto, la testa del suddetto editore oggi fa bella mostra accanto al rinoceronte impagliato, al bufalo, al leone e agli altri trofei di caccia appesi nel salotto buono della villa che fu di sir Cecil Rhodes.

E' perciò con grande rispetto per Mr. Smith, e soprattutto per il suo fucile da elefanti, che presentiamo questa vile e perfida parodia, forse ingiusta, ma che certamente contiene tutte le tematiche e i tormentoni del "maestro dell'avventura" sudafricano. Buona lettura.