Molto deve la fantascienza, anzi il fantastico, a Poul Anderson, scrittore statunitense di ascendenze scandinave. Non solo per la straordinaria prolificità cui dobbiamo numerosi romanzi e racconti spesso memorabili, ma anche e soprattutto perché gran parte della sua vasta produzione rappresenta un felice intreccio tra avventura ed esplorazione delle radici culturali dell’umanità. Pochi autori, infatti, hanno saputo dare alla letteratura dell’immaginario tante storie così felicemente coinvolgenti partendo da solidi spunti storici, archeologici, geografici e antropologici.

Tutto ciò senza mai rinunciare al gusto per la creazione degli affascinanti, sorprendenti e straordinari mondi che molti di noi hanno apprezzato e che hanno saputo avvincere tre generazioni di lettori.

Un buon esempio di quanto appena detto è Gli Immortali, edito in Italia da Mondadori nel 1991 a soli due anni dalla sua pubblicazione negli USA col titolo The Boat of a Million Years da parte della Tor Books.

Il titolo originale trae spunto da quel Libro dei Morti egizio che molti citano, non di rado a sproposito, ma che pochi conoscono, fosse anche a grandi linee. In questo caso viene opportunamente chiamato in causa tanto che, come vedremo più avanti, la “nave di un milione di anni”, aggiornata grazie alla tecnologia, è lo strumento finale cui si affida il protagonista del romanzo. Ma andiamo con ordine.

La storia comincia nell’antichità, nel Mediterraneo occidentale. Hanno, un intraprendente fenicio, è il personaggio principale. Ne vengono narrate le vicissitudini a partire da un viaggio oltre le Colonne d’Ercole, in quello che gli antichi chiamavano il Mare Oceano. Ma si tratta solo della prima tra mille avventure che si dipanano nei secoli. Perché questo enigmatico personaggio, nato a Tiro sotto il regno di re Hiram, non invecchia, non si ammala e guarisce rapidamente dalle ferite. Si presenta in varie parti del mondo di volta in volta con nomi diversi, dovendo cambiare frequentemente identità. Un misto di Olandese Volante, condannato a vagabondaggi senza fine, e Marco Polo, per l’inarrestabile desiderio di conoscere.

A questo proposito è bene precisare che il romanzo è articolato in capitoli che rappresentano altrettanti episodi leggibili separatamente.

Il punico attraversa i secoli mantenendo un’età apparente di venticinque anni. Per circa un millennio cerca invano i suoi simili, dei quali sospetta l’esistenza. Poi, al tempo del tardo impero romano, ne incontra uno: Rufus. Quindi altri. Ma gli immortali, comprensibilmente, sono prudenti e sfuggono. Temendo invidie e persecuzioni, si nascondono con grande efficacia.

Chiaramente uno dei punti forti del romanzo è la straordinaria galleria di personaggi, anche storici, incontrati da Hanno. Uno su tutti: il Cardinale Richelieu, eminenza grigia nella Francia del XVII secolo e autentico genio politico dei suoi tempi. L’immortale, confidando sulla straordinaria intelligenza del prelato e, soprattutto, sulla sua non comune apertura mentale, gli rivela la sua vera natura presentandosi nelle vesti di un marinaio inglese. Gli chiede protezione per sé e per gli altri immortali. L’alto prelato, pur credendo a ciò che sarebbe incredibile per un uomo comune e forte della sua esperienza nel governo degli uomini, consiglia invece al Fenicio di rassegnarsi a un anonimato forse frustrante ma che, in ogni caso, garantisce almeno una certa sicurezza.

Passa tantissimo tempo e, dopo secoli di instancabili ricerche, Hanno raduna un folto gruppo di immortali e con essi, grazie al progresso avanzatissimo del volo spaziale, intraprende un viaggio verso le stelle. A grandi linee, questa è la storia.

E’ bene tener presente che questo romanzo non è solo un dipanarsi di eventi, per quanto benissimo raccontati. E’ carico di significati che meritano qualche considerazione. Va da se che la narrazione è assai godibile e particolarmente gradevole per i lettori ferrati in storia e archeologia.

Per essere, pienamente apprezzato, infatti, richiede conoscenze sicuramente superiori alla media in queste discipline.

Ma se si entra nel meccanismo, scatta comunque una sorta di “trappola” dalla quale il lettore non riesce a sfuggire. Gli Immortali è un romanzo relativamente lungo, almeno secondo gli standard cui è abituato l’appassionato di fantascienza di lunga data, e richiede alcuni giorni di lettura attenta, ma avvince come pochi.

L’impressione generale è che la componente fantascientifica, pur basilare come è ovvio, finisca per essere messa in ombra da quella avventurosa. A mio avviso, siamo più vicini alle storie di navigazione, di esplorazione, di viaggio che hanno catturato i lettori occidentali negli ultimi due secoli. Bellissime e assai efficaci, infatti, sono le descrizioni di catene montuose, deserti, distese innevate e oceani. E perfettamente viene reso il timore reverenziale, a volte sconfinante nel senso di straniamento, dell’uomo di fronte alla grandezza della natura.

Così come di fronte allo scorrere del tempo e al succedersi di civiltà che nascono, si trasformano e muoiono in un continuo divenire.

In questo mondo vasto, sconfinato, crescono la consapevolezza e la conoscenza del protagonista e dei suoi compagni d’avventure. Fin quando il pianeta, con il trascorrere dei secoli e l’acquisizione di nuove conoscenze, non diventa perfino troppo piccolo. Il viaggio viene quindi intrapreso nell’interiorità in attesa del grande balzo verso spazi fisici sempre più vasti: l’intero Sistema Solare prima, le stelle più vicine dopo.

La parte finale racconta un viaggio lunghissimo, quindi l’incontro con la vita extraterrestre e, infine, la scoperta di un nuovo mondo da esplorare. Un nuovo inizio.

In questo il romanzo richiama metaforicamente il ciclo della vita, dell’esperienza umana.

Diciamo che Gli Immortali rappresenta un viaggio che l’autore ci invita ad intraprendere.

E come tutti i viaggi parte da qualcosa di certo, in questo caso la rigorosa ricostruzione storia degli scenari e degli eventi della prima parte, per dirigersi verso l’ignoto rappresentato dalla parte più specificamente fantascientifica, quella proiettata verso l’universo. E’ un po’ questo il significato dell’opera: la proiezione dell’essere umano verso l’esterno. Sembra quasi un invito a non fermarsi mai, a non tirare i remi in barca, a non sentirsi mai sazi di nuove conoscenze.

Viene spontaneo citare il verso 119 del canto XXVI della Divina Commedia quando Ulisse sprona i compagni a non desistere, a non lesinare gli sforzi: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.

E in effetti Odisseo e Hanno si somigliano. Ma ancor più il fenicio ricorda la figura storica, seppur ammantata di leggenda, del cartaginese Annone il Navigatore che nel V secolo a.C. si inoltrò nell’Atlantico meridionale costeggiando la costa africana fino al Golfo di Guinea.

Il resoconto del suo viaggio, il Periplo, nella versione giunta a noi è un continuo mostrare meraviglia di fronte ai nuovi orizzonti che si schiudono alla sua vista ed è ricco di passaggi come questo: “e dal mare aperto, trascorsi quattro giorni, scorgevamo di notte una terraferma di vampe e al centro una pira gigantesca, altissima su tutte le altre, che ci sembrava quasi toccasse le stelle”.

Sembra quasi che Poul Anderson, più che al classico eroe, abbia voluto affidare il ruolo principale a una figura archetipica, tra il mito e la storia, un po’ Odisseo e un po’ Annone, proiettata oltre quelle Colonne d’Ercole che sono più un luogo dell’anima che geografico.

Va ricordato che l’autore statunitense non ha mai nascosto l’ispirazione che ha tratto dalle sue origini scandinave. Quasi certamente questa ascendenza, il sentirsi erede di una tradizione di esploratori delle distese marine, ha influenzato potentemente la sua arte.

Ce lo ricordano alcune tra le sue opere più celebri: Crociata Spaziale (The High Crusade, 1960), La Spada Spezzata (The Broken Sword, 1954) e Tre Cuori e Tre Leoni (Three Hearts and Three Lions, 1961).

Gli Immortali è un’opera molto più recente, essendo stata scritta alla fine degli anni ’80, e sembra sintetizzare molti degli elementi più ricorrenti in quelle che la hanno preceduta: il viaggio, la solitudine, il coraggio fisico, l’individualismo, la disponibilità ad accettare nuovi orizzonti e nuove forme di pensiero. Non è presente l’elemento magico che, tuttavia, sembra occhieggiare da dietro le quinte nel capitolo che racconta le avventure della bellissima immortale Aliyat in Medio Oriente.

Tirando le somme, perché Gli Immortali merita di essere riletto? O letto da chi, non conoscendolo, volesse godersi uno dei romanzi più interessanti tra quelli apparsi sul finire degli anni ’80?

Banalmente potremmo dire: perché una pagina tira l’altra, perché è molto avvincente. Ma questo succede quasi sempre con le opere di Poul Anderson, grande professionista oltre che artista sopraffino. In realtà si tratta di un’opera che non va letta tutta d’un fiato, ma va assaporata lentamente. I dialoghi vanno gustati, le ambientazioni godute nella loro straordinaria varietà. Aggiungerei che l’insieme riuscirebbe gradito anche alla vasta schiera degli appassionati al romanzo storico. Tra questi, anche i più intransigenti paladini della ortodossa aderenza alla cronologia e alla verosimiglianza degli avvenimenti avrebbero ben poco da ridire.

Gli Immortali, comunque, non è una soltanto mera delizia per gli eruditi. E’ un gran bel romanzo che, come un buon vino, solo i palati più fini possono apprezzare appieno ma che ha tante frecce al suo arco da risultare gradevole a tutti.